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Madama Butterfly

Accolta dal pubblico della Scala di Milano con fischi e sghignazzate, Madama Butterfly fu trascinata al suo infausto esordio (17 febbraio 1904) da un’infelice trovata di Tito Ricordi, che volle «colorire il quadro con maggior suggestione» disseminando nel loggione alcuni impiegati «con appositi fischietti intonati musicalmente. Agli schiamazzatori non parve vero d’approfittarne». Ormai è chiaro che il fiasco fu dovuto a una claque, probabilmente inviata da Sonzogno, l’editore-impresario rivale di Ricordi. La fiducia di Puccini nella sua creazione tuttavia non vacillò, e ottenne una vistosa conferma con il grande successo arriso a Madama Butterfly a partire dalla ripresa del 28 maggio 1904 al Teatro Grande di Brescia (un successo da allora mai più venuto meno), tanto da conquistare in brevissimo tempo a questo capolavoro il rango di ‘classico’ del teatro musicale.

Quattro anni prima dell’infausto esordio milanese, durante l’estate del 1900, Puccini aveva assistito a Londra alla rappresentazione di un dramma d’analogo soggetto che David Belasco aveva tratto da una novella dell’avvocato newyorchese John Luther Long, mutandone il finale da lieto a tragico. Il suo fiuto teatrale gli aveva fatto riconoscere nella protagonista Cio-Cio-San un personaggio affascinante, la cui caratterizzazione si adattava singolarmente alle proprie inclinazioni di compositore: per mano dei fidati Illica e Giacosa l’opera venne totalmente incentrata sulla protagonista, attorno alla quale vennero fatti ruotare gli altri personaggi. Raffinate alchimie timbriche e continui richiami a modelli musicali orientaleggianti (emerge il ricorso a scale difettive o a procedimenti armonici eterodossi) accompagnano il percorso psicologico della fragile geisha dall’iniziale ingenuità al dubbio ed alla dolorosa rassegnazione finale con sensibilità e delicatezza straordinarie, tanto da farne uno dei personaggi più umanamente e finemente caratterizzati dell’intera storia del melodramma.

Madama Butterfly è anche un atto di condanna contro la violenza ottusa e barbarica della cosiddetta civiltà occidentale, contro il suo sadismo, la sua superficialità, il suo cinismo, il suo infondato senso di superiorità. Lontana anni luce da certa facile e sterile oleografia orientalistica, essa pone con forza il tema del contrasto tra culture del quale è vittima la protagonista, incentrando su di essa (su una piccola giapponese ingenua e naïve) l’indagine psicologica, con esiti che conoscono paragone solo nelle figure femminili più interiormente ricche (Violetta, Tat’jana…) della storia del melodramma.

Di grande rilievo è lo stile musicale dell’opera, che non evita contaminazioni linguistiche delle più ardite: accanto al già menzionato influsso della musica giapponese, che prende sostanza soprattutto nel frequente ricorso alla scala pentafona, confluiscono elementi della tradizione occidentale colta (il fugato, gli echi wagneriani, i richiami a Massenet, le reminiscenze dalla Bohème e da Tosca, ma anche la scala per toni interi e altri modalismi orientaleggianti derivati dalla musica russa) e di quella d’uso (l’inno della marina statunitense, oggi inno nazionale americano): un mélange estremamente duttile di modelli che consente da un lato svariate possibilità combinatorie nell’invenzione sonora, tali da garantire la continua adesione della musica all’azione ovvero la sua profonda pregnanza drammaturgica, e dall’altro una continua reinvenzione del suono che evita lo scadimento del linguaggio a un cliché orientalistico estetizzante, il cui manierismo avrebbe miseramente banalizzato l’autenticità della vicenda umana di Butterfly.

Tragedia giapponese in due atti, versione 1907.

Musica di Giacomo Puccini, libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica.

Maestro concertatore e direttore: Omer Meir Wellber

regia: Àlex Rigola

scene e costumi: Mariko Mori

maestro del coro Claudio Marino Moretti

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

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Ticket: consulta il sito del teatro
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from Apr 26, 14 to Jun 1, 14
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Teatro La Fenice
San Marco, Campo S. Fantin, 1965 - Venezia
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