theatre
Enrico IV

Siamo seri per un momento. Se fate gli attori e non riuscite a farvi sentire in un teatro da un migliaio di posti, c’è qualcosa che non va; dovreste scendere dal palcoscenico e tornarvene a casa. Tornate a scuola di recitazione, o dovunque vi porti l’istinto, ma allontanatevi dal palcoscenico. È previsto che le opere teatrali vengano recitate. Hanno a che fare con l’impegno e con tutte le sue conseguenze. Non possono essere pronunciate come se si trattasse di una conversazione e poi amplificate; questo non è più teatro, è televisione. Ogni attore, impresario, scrittore o regista convinto che i transistor e i circuiti possano colmare il divario tra l’abilità dell’artista e i bisogni del pubblico degrada tutte le parti in causa. L’unica amplificazione corretta e necessaria in teatro è l’impegno dell’artista (e qui mi riferisco soprattutto allo scrittore e all’attore), impegno che basta a rispedire il primo alla macchina da scrivere e il secondo a scuola di recitazione, in caso non siano in grado di farsi sentire. Lo scrittore che crea comportamenti invece di comporre drammi ha ovviamente bisogno di attori che recitino col microfono, perché le sue parole non risvegliano nell’attore alcuna necessità di parlare, alcuna necessità di farsi udire. L’attore che accetta di usare il microfono sulla scena sta distruggendo l’arte della recitazione e il proprio mezzo di sussistenza; smantella la professione con gli stessi mezzi che usa la televisione quando dice all’artista: “È sufficiente che ti metta là davanti alle telecamere e dica le battute”. L’arte del teatro è azione. È studio dell’impegno. La parola è atto. Pronunciare le parole in modo da farsi sentire e capire da tutte le persone presenti in un teatro è impegno; l’arte suprema è vedere un essere umano sulla scena che parla a un migliaio di suoi pari e afferma: “Le parole che dico sono la verità, non qualcosa che gli somiglia. Sono verità divina e sono pronto a sostenerle a prezzo della vita”, esattamente quello che l’attore fa sul palcoscenico. Priva di tale impegno, la recitazione diventa prostituzione e la scrittura pubblicità. L’amplificazione elettronica della scena è soltanto un ennesimo, spregevole espediente che reca beneficio solo allo speculatore. Una voce umana, bella e formata, e la sua estrapolazione, la musica dal vivo, sono i suoni più belli e perfetti che si possano udire. Non rendiamoci complici, per pigrizia, di coloro che vogliono eliminare tale bellezza dalle nostre vite. Assumiamoci la responsabilità di mettere in scena qualcosa che valga la pena di essere detto, qualcosa che gli attori si sentano spinti dal profondo a recitare con impegno e che il pubblico si senta spinto dal profondo ad ascoltare. Questi sono, da sempre, i limiti delle nostre responsabilità. Credo che oggi sia nostro dovere opporci a questa spazzatura sonora in teatro e contrastarla con tutti i mezzi possibili. Possiamo specificare nei contratti individuali che i nostri spettacoli non debbano essere amplificati; possiamo presentare una mozione all’assemblea per condannare questa tendenza e/o esaminare i mezzi concreti che la capovolgano; possiamo farci sentire in pubblico e per mezzo della stampa e far sì che gli spettatori ne vengano informati; sono stati derubati e non lo sanno. So che alcuni di voi ritengono che io stia ampiamente sopravvalutando il fenomeno. Ma sono convinto che un fatto del genere, oltre a minacciare la purezza del teatro, ne minacci l’integrità stessa. Ha detto Neil Simon che le risate registrate hanno ucciso la commedia televisiva perché gli scrittori non avevano più bisogno di essere divertenti. L’amplificazione elettronica sta uccidendo e ucciderà il teatro di Broadway perché attori e scrittori non sentiranno più la necessità di parlare ad alta voce.

Tratto da: “Note in margine a una tovaglia” di David Mamet ed. Minimum fax - Roma 2004

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Ticket: consulta il sito dell'evento
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from Feb 4, 15 to Feb 8, 15
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Teatro Goldoni
San Marco 4650/b - 30124 Venezia
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