LO SGUARDO DI THEO

Theo Angelopoulos, il regista dell' 'altra Grecia', quella fuori dagli stereotipi classici e/o turistici, è improvvisamente scomparso, falciato da una motocicletta, nella notte invernale dello scorso 24 gennaio, al Pireo, mentre era ancora in piena attività, alle prese con il suo ultimo film, 'L'altro mare', ancora in lavorazione, con protagonista Toni Servillo. L'opera, ambientata nell'Atene devastata dalla crisi economica, doveva aprirsi con una manifestazione a cavallo dei giorni di Capodanno, e doveva vedere coinvolti (e sconvolti) semplici cittadini esasperati, politici, intellettuali, traffichini e sognatori. Questo doveva avvenire nella finzione: nella cruda realtà di quella notte un agente di polizia privata, fuori dall'orario di servizio, correndo all'impazzata ha schiaccato sull'asfalto l'ultimo dei tragici greci. Come in un film, come in una pellicola tagliata, come in una sequenza per sempre distrutta da un incidente. La morte drammatica di Angelopoulos, l'interprete forse più noto all'estero della Grecia di oggi, diventa una metafora o un sacrificio estremo in un momento in cui la parola 'Grecia' è sulla bocca di tutti, anche dei più incolti e incivili dei nostri contemporanei. In questo periodo parlano di Grecia anche quanti credono che ogni cosa abbia il suo prezzo; anche quei superbi economisti che della Grecia e dei greci conoscono (forse) solo qualche luogo comune, o qualche informazione scolastica perduta nella memoria e confusa con le favole dell'infanzia. La Grecia occupa le prime pagine dei quotidiani. Ed è una Grecia che è piombata addosso all'improvviso nelle case degli europei con la colpa di non aver saputo tenere i conti in regola: come nella favola della cicala e della formica, ci sentiamo tutti delle laboriose formichine furiose di fronte allo sperpero della cicala ellenica... Forse le cose non stanno proprio così, forse non siamo gli insetti dell'apologo, e forse c'è ancora qualcuno che crede in valori non veniali, fuori dai calcoli del PIL e dalle monetizzazioni della Troika, forse c'è ancora chi è convinto che la Grecia potrà farcela, nonostante tutto. Comunque andranno le cose per il Paese (e per l'Europa nel suo complesso), la morte del poeta del cinema greco ('poeta' nel senso etimologico della parola, che infatti in greco significa 'artefice') chiude per sempre una stagione artistica non solo individuale ma anche di una generazione. E conclude definitivamente un ciclo del Novecento, diventando una specie di 'memento' per i decenni che seguiranno. La generazione di Angelopoulos (nato nel 1935) è quella di chi ha vissuto da bambino lo scempio della Seconda Guerra mondiale, e ne ha conservato un ricordo non razionalmente collocabile in una sezione precisa di 'causa ed effetto', un ricordo come un marchio. Il ricordo di chi non ha potuto prendere parte attiva agli eventi per ovvi motivi, e ne ha dovuto subire e pagare le conseguenze senza altra scelta. Anche della guerra civile, che ha insanguinato la Grecia all'indomani del 1945 e fino al 1949, Angelopoulos ha avuto solo una memoria filtrata attraverso gli occhi e le esperienze degli altri, dei grandi. Sappiamo però, senza dover ricorrere a sofisticate riflessioni psicoanalitiche ed anche per esperienza diretta, che quello che abbiamo vissuto nella primissima età e nell'adolescenza, sarà determinante per la nostra vita da adulti. Determinante quanto lo è il nostro patrimonio genetico. Angelopoulos, geneticamente greco, nato poco prima della cosiddetta 'ultima guerra' e cresciuto mentre i greci si scannavano a vicenda durante l''emfylios', 'la guerra civile', è stato interprete fedele e appassionato della sua terra e ha operato, senza risparmiare energie, per trasmettere all'Occidente le immagini di una Grecia diversa, di una Grecia non costruita sulle rovine dell'Acropoli, né sulle coste assolate e battute dal meltemi dell'Egeo. Quella Grecia dei libri di scuola o delle cartoline è facilmente a portata di tutti: basta un po' di buona volontà, disponibilità economica, passione (neo)classica e quella Grecia emerge, più o meno a grandi linee nell'immaginario collettivo. La Grecia di Angelopoulos invece è quella dei silenzi, delle terre del nord, delle strade che attraversano terre desolate, è la Grecia dei confini con l'Albania, con i paesi dell'Est europeo, che fino alla caduta del muro di Berlino, fino a soli vent'anni fa erano fuori dalla nostra vita quotidiana. In questa Grecia di Angelopoulos, invece, l'Europa dell'Est era realtà concreta anche quando esisteva ancora la cortina di ferro: perché la Grecia di Angelopoulos sa cos'è la diaspora, sa che i greci hanno vissuto sulle coste del mar Nero dai tempi mitici del viaggio di Giasone alla ricerca del vello d'oro, dai tempi della maga Medea, fino agli imprenditori di Odessa di lingua greca e di religione ortodossa che si impegnarono per la rivoluzione contro l'impero ottomano sin dal 1821 e anche oltre, fino al Novecento, fino alla loro espulsione in seguito alla rivoluzione russa. Si rivedano le scene iniziali de La sorgente del fiume, si riveda il cammino nell'acqua di profughi, donne, bambini, vecchi, in fuga verso un paese e una cultura a loro quasi del tutto estranei. Si ripensi ai quarant'anni nei quali si svolgono le vicende del film, dall'arrivo nel 1919 dell'Armata Rossa ad Odessa alla fine della Guerra Civile in Grecia: anni drammatici, che hanno segnato la storia dell'Europa orientale in un modo che per noi occidentali è ancora del tutto oscuro. Angelopoulos ha tentato di raccontarci cosa è successo nell'area balcanica nel Novecento, così come ha cercato di farci capire il cambiamento avvenuto in Grecia in seguito alla caduta del muro di Berlino, con il conseguente arrivo in massa di giovani provenienti dai Paesi dell'est. In L'eternità e un giorno, l'anziano studioso di poesia greca ottocentesca, malato di cancro, accoglie nella sua macchina (e quindi in quel poco che gli resta da vivere) un bambino albanese. Angelopoulos tentava di fissare il presente, fra il passato e il futuro, come un frammento consistente dello scorrere del tempo. Tentava di farci conoscere la storia e gli eventi, senza il dogmatismo degli accademici, senza l'ossequio pedante della acribia filologica, ma con la ferrea consapevolezza che la testimonianza artistica può, anzi deve, avere il suo ruolo nella vita civile. Ultimo tragico greco, Angelopoulos se n'è andato mentre ancora cercava di raccontarci come vedeva la Grecia ai tempi della crisi. E se il protagonista, l'apicultore de Il volo, una delle ultime grandi prove di Marcello Mastroianni, si toglie la vita facendosi pungere dalle sue stesse bestioline - che producono il miele e, al contempo, un veleno capace di uccidere -, se il protagonista de L'eternità e un giorno sa che il cancro lo sta divorando, nel caso della scomparsa del regista la morte arriva non voluta, ancora più drammatica e crudele, foriera di foschi presagi per la vita della Grecia stessa.

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