ECHI NEOREALISTI NELLA FOTOGRAFIA ITALIANA DEL DOPOGUERRA

Palazzo Grimani ospita, dal 13 luglio al 30 settembre 2012, la mostra 'Echi neorealisti nella fotografia italiana del dopoguerra', una selezione di 63 immagini tratte dall'Archivio Storico del Circolo Fotografico La Gondola.

Promotrice della mostra è la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Venezia che nel 2010 ha dichiarato di eccezionale interesse storico e artistico le 5316 fotografie conservate presso l'Archivio Storico del Circolo Fotografico La Gondola. Un riconoscimento al noto circolo veneziano per aver saputo impedire la dispersione di un importante patrimonio, costituito da immagini che garantiscono una testimonianza acuta e indagatrice su di un'epoca.

La mostra offre un quadro efficace del periodo compreso tra i primi anni '50, quando nel cinema la parabola neorealista già virava in affresco di costume, fino a oltre gli anni '60, nel corso del quale la fotografia italiana abbandonava le ricerche di carattere puramente formale per indagare la realtà del Paese, rinnovando ampiamente le proprie possibilità espressive.

All'interno della mostra si possono seguire due distinti percorsi. Il primo riguarda l'operatività del Circolo La Gondola che fu anomala rispetto al filone principale del movimento poiché si rivolse principalmente alla città lagunare, di cui trascurò la parte monumentale, per aggirarsi in quella minore, facendo affiorare l'inedito tessuto architettonico nonché l'ovattato fluire della vita quotidiana che nemmeno la guerra sembrava aver scalfito. Era un'osservazione sommessa, talvolta lirica, rivestita di forme nuove che Alfredo Camisa, fine osservatore della fotografia dell'epoca, definì “lirico/realista”, termine che ben inquadrava le aspirazioni del sodalizio veneziano e il suo muoversi in un terreno a lui congeniale. L'altro fil-rouge della mostra riguarda invece alcuni autori tra i più importanti del decennio 1950-1960. E' una carrellata attraverso l'Italia, con i primi accenni del boom economico che stava trasformando la realtà sociale del Paese; la fotografia finalmente si poneva quale testimone dello sgretolamento di quel mondo - soprattutto contadino e piccolo/borghese - incalzato da un progressivo benessere che tuttavia non si distribuiva in forma omogenea, lasciando ampie sacche di disuguaglianza. Branzi, Migliori, Giacomelli e tutti gli altri si mossero individualmente dando ciascuno la propria versione dei fatti; la mostra li presenta assieme, con l'intenzione di dare una visione complessiva, a più di cinquant'anni di distanza, non tanto degli accadimenti quanto della condizione di una significativa parte del Paese.

Espongono: Enrico “Gigi” Bacci, Vincenzo Balocchi, Angelo Begelle, Gianni Berengo Gardin, Carlo Bevilacqua, Gian Lorenzo Bigaglia, Gino Bolognini, Giuseppe Bolla, Piergiorgio Branzi,Bruno Bruni, Giuseppe Bruno, Alfredo Camisa, Mario Cattaneo, Carlo Cisventi, Rinaldo Cortese, Carlo Cosulich, Bruno Cot, Sergio Del Pero, Toni Del Tin, Ernesto Fantozzi, Stanislao Farri, Ferruccio Ferroni, Mario Finocchiaro, Riccardo Gasparotto, Giovanni Ghiglione, Giorgio Giacobbi, Mario Giacomelli, Carlo Mantovani, Laura Martinelli Stroili, Pepi Merisio, Nino Migliori, Paolo Monti, Giulio Parmiani, Vittorio Piergiovanni, Ezio Quiresi, Luciano Regini, Stefano Robino,Fulvio Roiter, Bruno Rosso, Luciano Scattola, Carlo Trois, Giuseppe Zanfron, Italo Zannier.

Note storiche > Il neorealismo nel cinema si manifestò immediatamente dopo la cessazione delle ostilità presentando il suo primo capolavoro, “Roma città aperta” di Roberto Rossellini, già nel 1945 cui seguirono nel settennio 1946/1953 altre fondamentali opere a tutti note. La fotografia del dopoguerra, viceversa, si estenuò nella ricerca di uno specifico disciplinare che l'affrancasse dalla pittura e dall'indifferenza della cultura ufficiale; di conseguenza, perse l'opportunità di documentare i passaggi salienti di quei momenti straordinari per quanto questo fosse ampiamente nelle sue possibilità. Il Manifesto pubblicato nel 1947 dal gruppo La Bussola fondato da Giuseppe Cavalli, affermava che la fotografia possedeva qualità tali da renderla autonoma da qualsiasi altra disciplina figurativa, ammonendola tuttavia di tenersi lontana «dal binario morto della cronaca» poiché «il documento non è arte». Alla fotografia de La Bussola – una fotografia astratta, metafisica, caratterizzata dal un tono “alto” e da una grande purezza formale di ispirazione crociana – guardava tutta quella generazione di fotografi di estrazione medio borghese che si era formata nell'anteguerra, nel contempo cominciavano a farsi largo i reportage dei fotografi della F.S.A e di LIFE, gli esponenti della scuola umanista francese, mentre in Germania Otto Steinert dettava la via per una fotografia soggettiva. I fotografi italiani del dopoguerra si accorsero, sia pure con ritardo, che esisteva un Paese ancora da scoprire, specie nel Sud dove la fine del conflitto aveva portato in superficie la gravità di una condizione sociale per certi versi inimmaginabile. Molti di loro si avviarono dunque in questi “pellegrinaggi” a Scanno, nei bassi di Napoli, nelle solfatare di Sicilia, nei desolati paesaggi della Lucania, con spirito comunque diverso da quello che aveva mosso il neorealismo cinematografico. Tuttavia, ancorché debole sul piano ideologico, questo virare dagli empirei del formalismo diede forza alla fotografia italiana e ne rinnovò ampiamente le possibilità espressive.

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