La mostra di Günter Pusch offre occasione ad un dibattito politico-sociale su una città che alterna la sua esistenza fra
contraddizioni: da un lato deve all’industria, quale fonte inesauribile di sviluppo, la vita delle sue migliaia di abitanti;
dall’altro, maledice i vapori velenosi che hanno insidiato la salute di generazioni, eruttati dalle ciminiere delle
fabbriche chimiche.
Sarebbe una presunzione solo il voler credere di poter risolvere ora questo contrasto; importante resta però il fatto
che la mostra dell’artista tedesco induce a conseguenti riflessioni.
Quando il conte Giuseppe Volpi di Misurata, Ministro delle Finanze fino al 1928, contribuì decisamente alla nascita di
nuovi cantieri navali e acciaierie sul territorio veneziano, nonché alla fondazione del Porto Industriale di Marghera, la
sua azione fu accolta con entusiasmo e nuovi orizzonti sembrarono aprirsi al futuro della città lagunare.
Non erano passati ottanta anni che i Veneziani cominciarono a guardare ansiosi al simbolo di questa avanzata
industriale, scrutando con apprensione gli alti camini ergersi al cielo diffondendo vapori che, portati talvolta a Venezia
dal vento, lasciavano inesorabili tracce sui suoi monumenti.
Ancor più insidiose erano le scorie che l’industria chimica versava nella laguna, aggredendo l’ecosistema. Tutto
questo fa parte di un passato recente. Ma oggi ci si continua a chiedere ancora perchè Venezia sia regolarmente
aggredita dall’acqua alta: lo scarso drenaggio dei canali, trasformati in bacini di scarico dei rifiuti, la distruzione
delle barene nella Laguna Nord in seguito alla creazione di Porto Marghera e l’aumento della portata d’acqua,
conseguente allo scavo del Canale dei Petroli, ne sono la risposta.
Con un interesse che abbraccia gli aspetti artistici e scientifici del suo campo di ricerca, Günter Pusch sosta davanti
agli impianti industriali di Marghera ancora attivi ed a quelli obsoleti: parte della sua realtà e del suo immaginario.
Con mezzi pittorici l’artista rappresenta strutture tecnologiche, trascinandoci, quali spettatori, nel suo mondo
cromatico.
Un filo di colore discontinuo unisce i lavori di Günter Pusch sul tema antico e controverso del rapporto tra Venezia
e Marghera, tra la città storica d’acqua e quella post industriale di terra: un tratto arancione segna la soglia media di
aumento del livello dell’acqua; la natura riconquista l’artificio umano, in un rebus di difficile soluzione.
Sovrapposizioni di paesaggi -prodotti di storie diverse ma inscindibili- presenze umane, tracce dell’attività che un
tempo animava i cantieri, rapporto tra arte e tecnologia, sono alcuni dei temi che si stratificano nello spazio della tela,
accuratamente preparata su più livelli.
Tuttavia le architetture di Pusch, minuziosamente disegnate, aprono anche porte verso nuovi mondi legati alla sfera
dell'inconscio; in queste opere si dispiega un mélange tra valori civili dell’artista, che parte dall’esperienza dei luoghi -
vedendo si impara- simbolismo enigmatico, visioni estatiche ed ironia.
Sono quadri di ricerca, di meditato mutamento, a partire dal silenzio delle fabbriche abbandonate (Abluftrohr) -
reinterpretate per nuova vita con architetture e inserti di luce- per arrivare alla struggente natura violata dai detriti
(Drehstuhl). Ritroviamo in queste opere l’invito alla riflessione degli artisti tedeschi Monica Baer e Dierk Schmidt, con
cui l’artista ha lavorato presso l’Accademia di Salisburgo, e un’impostazione filosofica di matrice asiatica.
Tutto si trasforma: un depuratore, nuovo monumento civico, diviene parte integrante del paesaggio naturale
(Becken); l’ex porto industriale (Kran), con le gru che svettano nel cielo, un luogo da abitare; il macchinario di una
fabbrica (Pumpe) diventa scultura bidimensionale, in un impaginato in cui giacciono memoria storica del lavoro
umano e fascino per la ‘bellezza della macchina’.
I quadri (Kubus, Kolben) ispirati a due scienziati legati sia all’Italia che alla Germania, Tartaglia e Papin, trovano
nel rebus e nel rapporto con la tèkhne un motivo di ricerca. Con una tecnica a metà strada tra Pop e Cyberpunk, parti
del quadro sono elaborate al computer con programmi vettoriali, stampate su vinile e tagliate a macchina; infine
sovrapposte in più strati al dipinto e trattate con spray da Street Art. Nell’avanguardia sperimentale nasce allora
l’invenzione: il sommergibile-gondola di Papin, il cubo-Rubik di Tartaglia, sono in realtà ironiche reinterpretazioni
dello stesso Pusch.
Sul filo tagliente dell’ironia si chiude il ventaglio delle opere presentate a Venezia dall’artista con immaginari
cittadini del futuro vestiti da palombari (Tauchen), ben al di sotto della linea arancione di acqua alta.
Le architetture di Pusch, tra vita e silenzio, rappresentano insieme visioni di luoghi e una visione del mondo.