danza
Terramara

Dopo Duetto (1989) di Virgilio Sieni e Alessandro Certini, dopo Calore (1982) di Enzo Cosimi e La Boule de neige (1985) di Fabrizio Monteverde, potrà stupire la data di nascita, 'più giovane', il 1991, di Terramara di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni. Ma questa quarta produzione del Progetto RIC.CI/Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ‘80/ '90, in effetti la più recente tra le coreografie prescelte, coglie al suo nascere la vivacità e l'impegno progettuale di una coppia, proprio in quell'anno costituitasi in compagnia, che aveva già vissuto in Italia e non solo, le stagioni dell'innovativo fermento della scena anni Ottanta. Basta ripercorrere le rispettive biografie dei due partner, che si incontrarono nel 1988, per trovare non solo una comune matrice formativa anche chez Carolyn Carlson, ma pure l'appartenenza (del solo Abbondanza) ad un gruppo nazionale cardine di quegli anni, il Sosta Palmizi. Primo vagito di un duo-compagnia che avrebbe continuato a sondare nei modi più diversi il tema del rapporto con l'altro, Terramara con i suoi echi classici bachiani e il fitto intreccio di suggestioni musicali etniche: ungheresi, indiane, rumene e siciliane, fu un exploit più che riuscito. Una meravigliosa e promettente prima prova autoriale che nell'arco di un'ora sciorinava bravura, quasi virtuosistica - a dispetto di quanti allora serbavano attenzione solo o soprattutto alla coreografia d'altri Paesi - ma non certo e mai fine a se stessa, bensì delicatamente tesa a rinforzare i caratteri di una 'mediterraneità' tutta nostra, esemplare e oggi da riscoprire. Nato come riflessione a due sul trascorrere del tempo, sulle sue vestigia antiche e sulla complessità del legame tra due esseri di sesso opposto che s'incontrano per creare nuova vita e ricrearsi, Terramara già sfruttava tutti i significati e simboli del suo titolo. La 'terramara' fu un particolare insediamento umano dell'Età del Bronzo, della Pianura Padana, costituito da un villaggio di capanne attorniato da strutture difensive o a protezione dalle acque (fossato, terrapieno, palizzata, etc). Il nome derivava da 'terra - marna', intendendo con il secondo vocabolo, un terreno ricco di sostanze organiche, conseguenza dello stazionamento di uomini e animali in varie stazioni preistoriche, terra grassa e nerastra, ma non per questo meno fertile. Diventato spettacolo, Terramara s'induriva, pronunciandone la parola, in qualche suono letterario che pareva rubato a Verga ma anche il termine 'amare' entrava nel calembour di dissolvenze metaforiche continuamente nascoste e svelate. Storia d'amore danzata, la pièce lasciava fluire nell'arco di un'ora e in modo originale e desueto, il sentimento più importante e segreto di due amanti nel loro impegno quotidiano, nel tempo comunitario del lavoro. Ed ecco perché le gerle piene di arance da svuotare e riempire, le fascine di paglia da caricare e spostare nello spazio immaginario di campi baciati dal solleone, durante i mesi del raccolto... In una natura, bucolicamente riscoperta come non avremmo visto in nessuna altra pièce di quegli anni - ma qualcuno, nell'esplicita e voluta povertà dei suoi elementi villici, volle allinearla a un film come L'albero degli zoccoli - si danzava il desiderio di trovare nel lavoro pure amaro e faticoso, la scansione del tempo secondo le leggi della terra e dunque i ritmi originari dell'unione tra maschile e femminile. Centinaia di arance riversate in scena non potevano essere, qui, un semplice ed esplicito omaggio al teatrodanza dalle scenografie naturalistiche di Pina Bausch, ma la necessità del colore/calore capace di accendere gesti e sguardi e di riversarli verso il pubblico in un abbraccio emotivo. Su questo turgore espressivo e drammatico, sprigionato nel rigore di una danza comunque formale, fa leva anche la ricostruzione 2013 di Terramara. Ora verrà danzato da una coppia di giovani scelti nel bacino veneto, e guidati dai due coreografi originari. La sua rinascita sarà, come i precedenti capisaldi italiani di RIC.CI, non certo pura archeologia, ma esemplare e fresca rigenerazione di una pièce generosa nell'intreccio coreografico, nella costruzione anche musicale, quanto nella fisicità a tinte arancioni.

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quando
maggio 2013
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