Omero scrive l’Odissea, in un tempo a noi molto lontano. Tonino Guerra la racconta di nuovo, come se fosse lui a ritornare da una guerra, quella che lo aveva trascinato lontano con nave e compagni sul mare delle pianure d’Europa. Ma non è solo la guerra, con le sue tremende sferzate, il palcoscenico del racconto omerico, e Tonino Guerra raccoglie e affronta spaccati di violenta fantasia, volendo avviare la sua scrittura come una fiaba, come un “c’era una volta”. Tutta una comunità, un paese intero che racconta una fiaba antica, raccontata e ri-raccontata cento, mille, tantissime volte, tanto che risulta trasformato quel racconto, e trasformato anche il suo eroe, e ciò che gli è accaduto. Ulisse diventa reduce scalcagnato, sbattuto qua e là dalle onde della sorte, con una fame che si mangerebbe anche le farfalle, e che vuole tornare... tornare a casa. “Vengo da Troia – dice Ulisse – Vorrei conoscere qualcuno importante che mi aiuti a tornare a casa.” A Itaca, da dove suo figlio Telemaco è partito per conoscere suo padre, e riportarlo a casa, chiunque egli sia. Itaca, dove sua moglie Penelope, disorientata e imprigionata da mille sguardi, tesse e disfa la tela. E dove lo aspetta il suo cane, Argo, che non intesse tele ma aspetta il padrone, dopo anni e anni, per consegnargli la propria vita. E così accadrà, e si potrà concludere il racconto, perché il viaggio dell’uomo dei mari è arrivato al suo finale. Sulla porta di casa, come il soldato che ritorna.