GIUSEPPE SANTOMASO E L’OPZIONE ASTRATTA

Un autodidatta. Nella bottega del padre orafo i primi insegnamenti: le rifrazioni di luce nelle pietre preziose, l’accostamento di colori e forme. E poi la molteplicità dei mosaici visti a San Marco, le sollecitazioni visive e tattili dalla sua città, Venezia. A Giuseppe Santomaso (1907-1990), nel centenario dalla nascita, la Fondazione Cini dedica una mostra che ripensa e ripercorre l’iter di un artista che è entrato in contatto con molti delle avanguardie novecentesche. Il titolo svelerebbe un’appartenenza:”Giuseppe Santomaso e l’opzione astratta” (a cura di Nico Stringa). Se per “opzione”, forse, in quegli anni, si intendeva non avere grande margine di scelta nelle soluzioni spaziali e visive. Se non altro per via di “contagio”. Accanto a lui, in contrappunto, opere di suoi contemporanei tra i quali Birolli, Bice Lazzari, Afro, Deluigi, Minassian, Tancredi, Guidi, Corpora. Esposta anche una sezione di opere grafiche provenienti dalla collezione Intesa Sanpaolo, alcune rare edizioni d’arte da lui curate “Grand air” di Paul Eluard (1945) o le litografie per Ezra Pound o Andrea Zanzotto. Colpisce per imponenza di muratura e ampiezza (1000 metri) il nuovo spazio espositivo della Fondazione. In ideale dialettica con la Punta della Dogana, che arretra in linea d’aria, si proietta ai giardini di Sant’Elena. Originariamente sede per i magazzini della Dogana nell’isola di San Giorgio, subisce diverse trasformazioni nel corso dei secoli (con annesso oscuramento in fase napoleonica). Per volere del conte Cini nei restauri del ’52 diventa Convitto scolastico fino al riutilizzo attuale che lo promuove come nuovo spazio dedicato alle esposizioni. Tornando alla vicenda esitenzial-creativa di Santomaso si può dire abbia vissuto di molti, e fortunati incontri; iniziando dai primi movimenti, negli anni ’30, sostenuto dal critico Giuseppe Marchiori e dall’amicizia dello scultore Viani. In mostra dei quadri interessanti degli esordi negli anni ’20 (anche per capire gli esiti successivi) di soffuso lirismo figurativo: la spiaggia del Lido, dei piccoli quadri che raffigurano semplici cose viste e sentite. Impegnato e “militante” nel dibattito contemporaneo, nell’immediato post-guerra getta le premesse, con Vedova e Pizzinato del Fronte Nuovo delle Arti, ufficializzato alla Biennale del 1948. Sarà grazie alla sua “intermissione” se la collezione di Peggy Guggenheim avrà uno spazio tutto suo alla Biennale di Pallucchini. Viaggerà sempre molto, in Europa, negli Stati Uniti, intrecciando nuovi rapporti e facendosi attraversare da sempre fecondi stimoli: dal postcubismo all’astrazione lirica all’espressionismo astratto, per citare alcune fasi. Del 1977 la serie delle “Lettere” idealmente indirizzate a Palladio:” per me rappresenta la tradizione in evoluzione (…)” dirà.

Giovanna Dal Bon
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