Il sonno della ragione non è solo un’inquietante acquaforte di Goya. È anche una giustificazione della “hubris” di una ricerca scientifica che pare sempre più tesa ad assicurare ai suoi protagonisti prerogative divine. I mostri che ne possono derivare sono non solo biologici, fisici e chimici, ma anche professionali, sociali e culturali. La genetica del XX secolo ha individuato e mitizzato il gene. Forse la genomica del XXI secolo, avviata verso un’analoga mitizzazione del genoma, dovrebbe aggiustare inquadratura e focalizzazione sia del gene che del genoma: di conseguenza per l’uomo la genetica potrebbe arrivare a considerare un’indeterminabilità del “genoma personale” non estranea a scienze più rigorose. Se è poco probabile che esista il “mio” genoma, acriticamente esaltato dal “dogma centrale della biologia molecolare” per tutta la seconda metà del Novecento, certamente esiste il genoma di ogni mia cellula. Alla base di queste considerazioni stanno l’inquietante casualità delle variazioni del nostro genoma e la loro sezionabilità darwiniana all’interno del singolo organismo.. Recenti studi sull’embrione umano ne stanno svelando il genoma come sorprendentemente plastico: nel corso dello sviluppo a seguito anche degli influssi più o meno casuali dell’ambiente, degli stimoli e dei danni ambientali e delle risposte dei nostri apparati cellulari, il nostro genoma passa attraverso fasi di turbolente instabilità spesso normalizzata dalla selezione: prende corpo, quindi, la convinzione che la mitizzata ingegneria genetica “molecolare” debba cedere il passo ad una ingegneria genetica “naturale”.