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Architettura. I pregiudicati

Il seminario pone due domande, la prima rivolta al sapere: abbiamo consapevolezza del carattere della cultura contemporanea? La seconda rivolta all’apparire (l’irriducibile manifestarsi di ogni cosa, progetto, idea): abbiamo consapevolezza delle forme che i nostri saperi producono e radicano nel territorio?

Se non si comprende la struttura fondamentale dei significati che si generano nell’intersezione tra sapere e apparire non si può realmente avere cognizione di ciò che si vede e si produce.

In questo orizzonte emerge il tema dei “pregiudicati”, quegli ambiti del sapere che sono stati espulsi e rifiutati dalla cultura contemporanea, pur essendo a fondamento del sapere e dell’apparire; in una parola del “progetto”.

Il dominio dei saperi tecnico-analitici avvallato dalla confusione estetico-individuale genera una condizione insostenibile per il progetto, per il paesaggio e per gli abitanti.

Il seminario si propone di portare al centro del dibattito un problema che riguarda tutti noi e che si esprime nella crescente richiesta di qualità ambientale e urbana, con la consapevolezza che non si può affrontare in alcun modo il tema della qualità senza affrontare prima il tema dell’estetico –nella sua dimensione ontologico metafisica-, il piano indifferibile e ignorato dall’architettura del nostro tempo.

A partire dal secondo dopoguerra, il sapere-estetico è stato depotenziato e progressivamente estromesso dai processi di produzione del progetto e sostituito da un dispositivo di schematismi, automazioni e anonimato mascherati di sociale e sostenibilità. In altre parole, il paradigma dell’informe, sommatoria di due principi: isolamento e individualità. Una testimonianza di tutto questo? Il nostro territorio dopo soli cinquant’anni di trasformazioni. Questo processo ha investito sia l’ambito della ricerca sia quello professionale, attraversando tutte le discipline.

La Convenzione Europea del Paesaggio richiama all’urgenza la necessità di arginare la desertificazione del paesaggio che è desertificazione simbolico-significante. Quali proposte può formulare l’architettura se è dominata da quella medesima cultura che è in totale contraddizione con i fondamenti epistemici dell’apparire e che vuole gestire il mondo diviso in parti isolate? Come può l’architettura rispondere consapevolmente se ormai da tempo il suo pensiero è stato portato all’esterno, definitivamente trasferito nelle maglie strette dell’apparato tecnicistico-normativo?

Non esistono linguaggi che possiamo definire neutri, per questa ragione affidare il progetto all’autorità astratta degli indici non è indifferente, ma costituisce in sé un’ideologia.

Il titolo “Common Ground” della XIII Biennale di Architettura diviene il pretesto per interrogarsi se questo “dominio comune”, per essere efficacemente tale, non debba confrontarsi con gli “Un-common grounds” –visione atemporale e universale-, affinché l’ordine complesso delle relazioni del mondo ricostituisca l’intreccio delle connessioni nelle opere, saldando insieme paradigma tecnico-scientifico e paradigma ontologico-metafisico.

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from Oct 11, 12 to Oct 12, 12
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