Autoanalisi di un regista cinematografico affermato
ma logoro e giunto a un punto morto nel lavoro e nella vita. La sua realtà è in crisi non meno della sua fantasia, tra passato e presente, infanzia e maturità, moglie e amante, religione e ragione. Egli narra tutto questo, per associazioni libere. Il miglior film di Fellini: insieme il
più liberatorio e formalmente prezioso. Concepito come “opera aperta”, riuscì, più oltre che una meditazione sull’ampio materiale accumulato in La dolce vita, un’analisi penetrante della contraddittoria crisi attraversata da
larga parte della società italiana dopo il brusco
arresto del boom economico. Secondo la sua natura, Fellini ne mise in luce assai più gli aspetti individuali e soggettivi (sulla via della memoria, dell’introspezione, del rovello psicologico) di quelli collettivi e sociali: ma l’uomo da lui rappresentato - solo, scettico, a volte
cinico, ormai persuaso di essere principio e fine
della propria sofferenza - andò ben oltre i limiti
del soggettivo e dell’individuale.