trenta, attraverso le vicende parzialmente autobiografiche
di un giovane. Amarcord è un film da amare senza ulteriori
riserve. Fellini approfitta della riconquistata serenità per tendere a un racconto quasi oggettivo. Tornando alle radici provinciali e beffarde della propria formazione, il regista de I vitelloni recupera spregiudicatamente la struttura della barzelletta, si sforza di non commuoversi e di
non tirare conclusioni. Tutto il film porta la sigla di un maestro, ma alcune pagine si impongono con maggiore evidenza: un pranzo-litigio in famiglia degno di Eduardo, la gita in campagna con lo zio matto (un sublime Ciccio
Ingrassia), il ballo degli studenti davanti al Grand Hotel chiuso per l’inverno, la magica apparizione notturna del transatlantico Rex: un simbolo dei miti di un’epoca stupidina, così pregnante che sarebbe piaciuto a Jung.