Supponiamo che un bel giorno in un paesino della Bassa padana qualcuno riesca a catturare la luna: quella vera, fuor di metafora, panciuta e luminosa. Dove potrà mai tenerla per impedirle di volare via? Ma certo, in una di quelle belle stalle di una volta, con tutta la gente
radunata incredula sull’aia a osservare rapita
l’astro imbrigliato. È uno solo dei tanti episodi
de La voce della luna, quello che abbiamo raccontato,
ed è senz’altro tra i più belli e riusciti:
magia, stupore, poesia, scherzo, tutte le caratteristiche
più amabili e amate di Federico Fellini si ritrovano qui di nuovo insieme. Non si può non provare simpatia per il protagonista - il Benigni-Pinocchio che veste i panni dell’ingenuo sognatore Ivo Salvini -, partecipando alla sua struggente rincorsa delle varie “voci della luna”. L’Italia però è brutta, volgare e meschina e c’è poco spazio per chi sogna, ci ricorda a ogni piè sospinto il regista: tutto è
rumore, puzza, caos nel mondo contemporaneo.
Solo quando Ivo ricorda l’infanzia con la nonna, oppure l’amore per la bella Aldina c’e spazio per uno sguardo più sereno; ora si può solo avere paura come il prefetto Gonnella ossessionato dalla fobia di essere seguito, pedinato, spiato. Non basta più dire “Amarcord”.
Si tratta di scagliare maledizioni su tutto quanto
insidia la nostra vita, dall’inquinamento fisico
del traffico e delle fabbriche a quello mentale
della stupidità televisiva.