L'idea di scrivere un testo sugli hoarder è di Alessandro Gassman. Tre anni fa stavo lavorando alla riscrittura di Roman e il suo Cucciolo e Alessandro mi chiamò al telefono: 'Sono appena stato in America e ho visto un reality su un fenomeno pazzesco, devi scriverci un testo'. Gli feci ripetere la parola hoarder due o tre volte, non l'avevo mai sentita, e riagganciai con un sensazione di disagio. Mi capita sempre così quando mi suggeriscono un tema, mi fa sentire inadeguato. Non ci lavoro mai. Ma avevo sentito Alessandro così entusiasta che un pomeriggio mi misi a cercare queste benedette trasmissioni su internet. E scoprii che parlavano di persone che conoscevo molto bene. Persone vicinissime a me nel senso letterale del termine.
In America chiamano con una sola parola, hoarder, quella gente di cui noi diciamo: vive in un disordine bestiale, a casa sua non riesci nemmeno a camminarci, tanta roba ci ha dentro. Pare che laggiù il fenomeno coinvolga milioni di persone. Gli psicologi l'hanno definito un disagio psichico grave. Ci hanno scritto saggi, che qualche produttore televisivo audace ha pensato potessero diventare spunti per un reality di successo. Qui da noi il problema, più che a livello psichico, è percepito a livello condominiale. Anche per la differenza di abitudine abitative: là villette in legno dove ciascuno fa e disfa un po' come crede, qua casermette o casermoni con o senza portineria, con leggine, divieti, regolamenti, devastanti assemblee e liti da manicomio. Insomma qui un hoarder non solo non è considerato né dalla psichiatria né dalla tivù, ma ha una vita molto più difficile sul campo.
Si dice: uno scrittore deve immedesimarsi nei personaggi. Ma forse sarebbe più preciso dire: uno scrittore deve trovare dentro di sé quella zona che somiglia a quel tal personaggio. Ecco, per scrivere di un hoarder questo lavoro non è difficile. Siamo tutti un po' hoarder, almeno in un punto della nostra casa. Per esempio io da hoarder ho la scrivania. Se qualcuno di voi entrasse nel mio studio in questo momento ci vedrebbe sopra: il telefono, la lampada da tavolo, due computer di cui uno abbastanza rotto, una statuetta in plastica dell'uomo ragno, le fotografie delle vacanze, la teiera e una tazza, decine di libri, decine di penne di cui almeno la metà non scrivono, una lente d'ingrandimento, un metro a scomparsa, un galleggiante da pesca, bollettini postali di multe non pagate, la rivista dei programmi tv di Sky, due medaglie di bronzo eredità di mio zio, l'ultimo numero dell'Espresso ancora dentro il cellophane e un pezzo di cemento che è venuto giù ieri dal balcone del vicino e che non mancherò di mostrargli alla prossima assemblea condominiale. Secondo voi il mio problema è riordinare la scrivania? No. Il mio problema è la donna delle pulizie. Ho il terrore che ci metta le mani e sposti le cose. Perché questo apparente disordine è nella mia testa un ordine molto preciso, che però - ecco il dramma - conosco solo io.
Quando ho finito di scrivere la storia che vedrete, non avevo ancora un titolo. Chiamare il lavoro con una parola americana che comincia con acca-a-o non mi andava. La sua traduzione letterale accumulatore avrebbe dato l'idea che fosse ambientato da un elettrauto. E poi volevo qualcosa di positivo. Perché è vero, l'hoarder è uno che accumula, perciò interpreta uno dei peggiori vizi di una civiltà inflattiva. Ma è anche una persona che non butta, che riutilizza, che restituisce valore, cioè in qualche modo è un ecologista. E poi non è nel disordine, nell'immondizia che spesso sono nascosti i tesori? L'idea me l'ha data un'amica di famiglia, una signora all'antica che ho incontrato a Pavia, la mia città d'origine. Le ho parlato della mia famiglia, del nuovo figlio in arrivo, dei problemi economici, della casa da ristrutturare e lei mi ha salutato stringendomi la mano e sussurrandomi con voce cordiale: 'Tante belle cose'.
Edoardo Erba