ballet
Giselle

Per affrontare Giselle, caposaldo e sintesi del Romanticismo coreografico, Eugenio Scigliano torna direttamente alle fonti poetiche e letterarie del balletto. Proprio partendo dalla suggestiva leggenda delle Wilis che Heinrich Heine evocò nel suo libro sulla Germania e tanto suggestionò Theophile Gauthier nello scrivere lo scenario di Giselle, il coreografo si immerge direttamente nell'atmosfera gotica e notturna tanto cara alle culture nordiche, della quale il tema dell'irresistibile passione amorosa legata all'idea della 'non-morte' è fulcro portante. Con molte altre creature destinate a vagare inquiete nell'aldilà create dalla letteratura romantica (si pensi solo ad una delle più grandi, Catherine Earnshaw del quasi coevo Wuthering Heights di Emily Bronte, 1847), le Wilis evocate da Heine condividono molte cose: il vagare in luoghi boschivi e notturni, la bellezza selvaggia ed esangue, la silenziosa e sfuggente seduttività, il potere di far sperimentare un sentimento così forte e irresistibile da lasciarne in chi l'ha provato indelebile traccia. Wilis, Villi o comunque si chiamino, queste fanciulle fatali hanno in sé anche una natura demoniaca, tanto da essere assimilate ai vampiri, e come loro sono infatti esseri erotici e mortiferi, implacabili e vendicativi. Di fatto l'altra faccia del femminino romantico, della donna rassicurante e devota, ma anche soffocata dalle regole e liturgie sociali imposte della nuova morale borghese, le Wilis sono insomma l'aspetto oscuro e libe-rato di donne obbligate dalle convenzioni a reprimere le loro pulsioni ed emozioni più profonde. In questo senso, la fanciulla Giselle inventata da Gauthier diventa l'epitome di una condizione femminile tipica del periodo, fusione perfetta tra la virginale fanciulla obbediente alle regole della società ( e per questo soccombente alla presa di coscienza del tradimento), ma anche suo doppio ribelle e perturbante, seppure disumanizzato. E così, ripensando la traccia dell'antico balletto, Scigliano riconduce la vicenda in quella età vittoriana, in una scuola che ricorda assai da vicino l'Appleyard College di Picnic ad Hanging Rock, dove si educano fanciulle di buona famiglia con rigidi rituali accuratamente pensati per soffocarne le passioni, ma nel quale è anche sufficiente mettere a contatto l'innocenza dei sentimenti dei più giovani con l'ambiguità cinica degli adulti per fare esplodere un conflitto profondo e sconvolgente tra verità e convenzioni. Nella nuova scrittura drammaturgica del famoso secondo ‘atto bianco’, così, prevale la necessità di evidenziare un riscatto femminile, che riemerge, più forte del dolore, in una complicità solidale contro l’uomo che ha tradito: un impulso quasi femminista, per altro sottinteso nella leggenda originaria evocata da Heine e incarnata, a ben pensarci, già nella danza di Jules Perrot e Jean Coralli e poi di Marius Petipa, nel plotone coeso e implacabile delle spose fantasma. In questa trasfigurazione della realtà - eterna e attuale allo stesso tempo così nelle sue dinamiche emozionali, nei suoi ritratti psicologici, nei suoi 'giuochi di ruolo' che ancora oggi la cronaca ci registra tragicamente - Scigliano si fa guidare dalla musica di Adam e affrontando la sfida di una pagina 'assoluta' del repertorio ballettistico trova la sua personalissima, coerente risposta alla vicenda, alla quale offre la sua inconfondibile cifra stilistica e la sua sensibilità di autore capace di registrare le minime sfumature del cuore in gesti e movimenti di ampio respiro teatrale.

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