Leone Gala è un personaggio filosofo che ha raggiunto una stramba saggezza. Ha capito il gioco della vita, ne ha preso consapevolezza. Tende a vivere senza inciampi e discussioni inutili, senza compromettersi più di tanto: invulnerabile al dolore, impenetrabile alla gioia. La non partecipazione, l'estraneità alla vita è la sua salvezza (e la sua condanna). Sta alla finestra a guardare vivere gli altri. Leone Gala, s’è separato amichevolmente dalla moglie; egli continua ad essere ufficialmente il marito; ma vive per conto proprio in una casa che è quasi un romitaggio. Ogni sera tanto per salvare le apparenze, passa dal portinaio della sua signora, domanda se c’è niente di nuovo e se ne va. Se ne va verso i suoi cari libri e verso le batterie della sua cucina, perché egli coltiva con finezza la gastronomia, e ama comporre salse preziose aiutato dal suo cameriere-cuoco con il quale parla di Socrate e Bergson. Mentre il marito prepara gli intingoletti, la moglie fa due cose: si prende, o continua a tenersi un amante preso in precedenza, e si annoia. Si annoia perché è libera, sì, ma in fondo la sua libertà è relativa. E’ una libertà che il marito le concede e ciò la irrita. Se almeno il marito si disperasse per essere lontano da lei! Se almeno fosse geloso! Se almeno vivesse una vita acre e iraconda! Ma no, egli è tranquillo; egli s’è vuotato d’ogni sentimento; è ormai uno spettatore del mondo. La signora Gala, indignata, vuole farlo diventare attore. Al punto che, quando le si presenta una fortuita occasione – l’involontaria ma gravissima offesa fattale da un gentiluomo – progetta di mettere a repentaglio la vita del marito, trascinandolo in un duello...