Sotto al letto di mia nonna
Mostra di Serena Boccanegra
La
rassegna
-‐
annota
la
curatrice
-‐
si
configura
come
un’installazione
totale
site
specific:
attraverso
il
filo
di
un’amorevole
memoria,
simbolizzata
da
una
variegata
sequenza
di
oggetti
e
micro
mondi
sognati
dall’autrice,
emerge
in
senso
catartico
l’importanza
del
rapporto
di
Serena
con
il
proprio
contesto
famigliare.
Figura
idealmente
centrale
della
composizione
-‐
scrive
Accerboni
-‐
è
Rina
Nono,
la
nonna,
una
forte
personalità
illuminata
da
intensi
occhi
verdi,
che
rappresenta
una
sorta
di
nume
tutelare,
che
nel
corso
del
tempo
ha
fermamente
mantenuto
la
memoria
della
sua
famiglia
d’origine,
conservandone
gli
oggetti
più
vari,
che
Serena
implementa
con
altre
testimonianze
materiche,
anche
questa
volta
foto,
oggetti,
tessuti,
pizzi,
lettere,
scarpe
e
scarpette,
appartenute
pure
alla
famiglia
del
padre,
i
Boccanegra.
Simboli
di
una
catena
d’amore
che
l’artista
-‐
scenografa
realizzatrice
per
il
teatro
e
per
il
cinema,
che
ha
sempre
parallelamente
condotto
un
proprio
percorso
di
ricerca
artistica
personale
-‐
collega
e
ramifica
come
se
il
suo
racconto
per
immagini
-‐
dedicato
alla
nonna
Rina
e
al
figlio
Orlando
-‐
andasse
a
rappresentare
in
realtà
l’albero
della
vita.
“Ho
sentito
la
forte
necessità
di
incontrare
i
miei
antenati,
di
metterli
tutti
insieme
e
pacificarli,
di
farli
incontrare
di
nuovo.
-‐
spiega
Serena
-‐
Un
piccolo
atto
psicomagico
per
dialogare
con
loro,
un
incontro
tra
morti
e
vivi”.
Artista,
ma
anche
sapiente
artigiana,
la
Boccanegra
ospita
ogni
oggetto
e
ogni
composizione
in
un
altrettanto
simbolico
cassetto,
che
in
un
certo
senso
li
cataloga
ma
nel
contempo
li
incornicia
in
una
sorta
di
boccascena,
forse
perché
sono
appartenuti
al
teatro
della
vita.
E
in
ognuno
di
questi
ambiti
o
contenitori
c’è
tutto
un
mondo,
che
si
apre
e
si
collega,
secondo
il
concetto
delle
scatole
cinesi,
a
un
altro
mondo.
Un
work
in
progress,
un
lavoro
in
divenire:
“Questo
-‐
afferma
infatti
Serena
-‐
è
solo
l’inizio
di
un
cammino,
nel
tempo
aggiungerò
sempre
altri
cassetti”.
Molto
spesso,
nel
rielaborare
o
fermare
gli
oggetti
su
un
supporto,
Serena
usa
la
cera
d’api,
un
materiale
naturale
come
gli
altri
-‐
legno,
carta,
stoffa,
gesso
e
pelle
-‐
che
compongono
l’esposizione,
perché
le
piace
il
suo
profumo
e
perché
“mettere
la
cera
sopra
gli
oggetti
è
come
fermarli,
la
cera
è
un
materiale
scultoreo,
simbolico,
può
interpretare
il
concetto
di
“fermare
l’attimo”.
Questa
mostra
-‐
conclude
Accerboni
-‐
appare
dunque
come
una
fascinazione
simbolica
che,
snodandosi
sul
filo
di
un’intima
ispirazione
surreale,
gioca,
quasi
inconsciamente,
con
l’object
trouvé
di
duchampiana
memoria,
implementando
l’emozione
ch’esso
suscita
con
l’emotività
che
rende
vive
e
umane
le
tavole
di
un
palcoscenico
e
coinvolgente,
la
finzione
cinematografica.
L’universo
di
Serena
si
adagia
-‐
soffice
-‐
e
dialoga
inoltre
in
un
contesto
espositivo
che
è
specchio,
dilatazione
e
contrappunto
della
mostra
stessa
e
si
amplia
in
contaminazioni
con
altri
due
artisti.
La
Bottega
d’arte
Gibigiana
è
infatti
fucina
d’arte
dove
laboratorio
e
spazio
espositivo
convivono
e
dove
s’incontrano
artisti
che
operano
sia
nel
mondo
dell’arte
sia
nel
campo
dell’arredamento
con
i
loro
lavori
handmade,
generati
dal
recupero
di
materiali
poveri
e
in
disuso.
E
creano
ambientazioni
dalle
interessanti
connotazioni.
La
denominazione
Gibigiana
allude
al
gioco
generato
dal
riverbero
della
luce
solare
che,
incontrando
uno
specchio
d’acqua,
crea
riflessi
ritmici
e
sinuosi,
facendo
vibrare
tutto
ciò
su
cui
si
posa.
Fenomeno
che
ben
simbolizza
il
comune
intento
delle
personalità
artistiche
presenti.
In
quest’occasione,
accanto
alla
mostra
Sotto
il
letto
di
mia
nonna,
incontreremo
anche
le
opere
di
Mirko
Donati,
anima
portante
della
Bottega,
e
di
Anna
Scovacricchi,
artista
illustratrice
ora
qui
in
residenza,
che
presenteranno
negli
altri
spazi
del
laboratorio/bottega
nuove
creature.
Ogni
stanza
sarà
un
elemento:
aria,
acqua,
fuoco
e
terra,
questo
il
leitmotiv
costante.
Serena
Boccanegra,
di
natura
nomade,
vive
e
lavora
per
molti
anni
fuori
Venezia,
per
poi
tornare
alle
radici
veneziane.
Si
forma
come
pittrice
e
scenografa
realizzatrice
per
il
teatro,
lavorando
in
diversi
laboratori
teatrali
e
compagnie,
tra
cui
la
compagnia
Figli
d’Arte
Cuticchio.
Opera
al
Teatro
Massimo
di
Palermo,
cura
gli
spazi
scenici
per
ripetute
edizioni
del
festival
La
Macchina
dei
Sogni;
progetta
e
costruisce
diverse
marionette
per
l’Opernhaus
di
Zurigo.
Incontra
poi
il
cinema
e
si
specializza
come
pittrice
di
scena:
Garrone,
Crialese,
Moretti,
Soldini
e
Wenders
sono
alcuni
dei
registi
per
i
quali
ha
lavorato.
Porta
avanti
da
anni
una
personale
ricerca
artistica
e
sul
teatro
di
figura.