Lo sguardo etico. Cinema Dardenne

Non esiste in Europa un cinema della sofferenza profondo quanto quello di Jean-Pierre e Luc Dardenne e che riesca al tempo stesso a essere così catartico: il desiderio di perdono da parte dei loro protagonisti costituisce la vera rivincita dei marginali che popolano lo schermo dei due fratelli belgi. Fiandre e Vallonia sono – al pari dell’Inghilterra di Ken Loach o della Francia di Laurent Cantet – lo sfondo ideale per mettere in scena la crisi della siderurgia o quella della famiglia. Sin dal loro primo film “internazionale”, La promesse (1996), i Dardenne scelgono un cinema di resistenza in cui l’uomo comune si trova ad affrontare i molti problemi di una società che si disgrega nelle sue fondamenta comuni. Ma lungi dal limitarsi a documentare la realtà, sfinendo lo spettatore in un cinema militante ormai superato, i fratelli belgi cercano di coinvolgerlo empaticamente, creando meccanismi di condivisione etica con le loro storie, suscitando emozioni nel pubblico senza che queste appaiano direttamente sullo schermo. I primi film appartengono a una trilogia in cui la disperazione dei singoli diventa universale: ne La promesse Igor, figlio quindicenne del negriero che sfrutta i clandestini, promette un futuro alla moglie e al figlio di uno di questi disperati, in punto di morte; in Rosetta (1999) è ancora un’adolescente la protagonista marginale, onesta e disperata al punto da cercare qualsiasi soluzione per giungere a una vita normale (un nome che in Belgio è diventato simbolo di disoccupazione e di un piano del governo per ridurre quella giovanile); infine, con Il figlio (2002, storia di un operatore di un centro di rieducazione che si trova a dover reinserire il giovane assassino del suo bimbo), i Dardenne chiudono il ciclo della trilogia individuale per tornare a occuparsi dell’uomo sociale. Adolescenti e adulti sono seguiti in modo zavattiniano, ripresi di spalle a sottolinearne i cedimenti emotivi e i tentennamenti esistenziali: a questa scelta estetica, nella trilogia successiva se ne aggiunge una di maggior impatto, dove il piano sequenza si sostituisce alla camera a mano, ad allargare la visione, l’impatto etico, gli interrogativi stessi che suscitano nello spettatore. Il capolavoro di questo secondo periodo è L’enfant, autentica quanto paradossale vicenda di una giovanissima coppia di genitori (venti e diciotto anni) in cui il padre, per sopravvivere, decide di vendere il bambino a dei delinquenti. Il matrimonio di Lorna (2008, difficile tentativo di emancipazione di una ragazza albanese tra delinquenza e traffico di droga) e Il ragazzo con la bicicletta (2011, altro problematico sforzo di un ragazzino di recuperare un rapporto col padre e la società di malaffare che lo circonda) confermano questo orientamento, aprendo le porte al film più socialmente determinato di tutti, il recente Due giorni, una notte (2014). (Testo di Michele Gottardi)

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