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Aspettando il leone: Bertrand Tavernier

Negli anni in cui i giovani critici e poi registi della Nouvelle vague gareggiavano a stroncare – con rare eccezioni – le lezioni dei padri e l’odiatissima Qualité France, un giovane lionese di nome Bertrand Tavernier, classe 1941, si riempiva gli occhi nelle stesse sale del Quartiere Latino praticando una laicità critica assai più tollerante e divertita, che lo condurrà – per imparare il mestiere - sui set di un Jean-Pierre Melville, grandissimo nel poliziesco d’autore, o del nostro Riccardo Freda, all’epoca considerato poco più che un mestierante e solo molti anni dopo quel “Visconti del mitologico e del cappa e spada” di cui narrano le cronache oggi apologetiche. E tanto per non smentirsi, quando nel 1973, gli capiterà finalmente di girare da regista sceglierà Georges Simenon, non proprio un campione del nouveau roman, chiedendo a due “grandi vecchi” della sceneggiatura cinéma de papa – Jean Aurenche e Pierre Bost – di aiutarlo nell’impresa di portare sullo schermo L’horloger d’Everton (nel film L’horloger de Saint-Paul, ambientazione lionese). La coerenza dell’andare volentieri controcorrente, apertamente rivendicata da Alberto Barbera nelle motivazioni che accompagneranno l’assegnazione del Leone d’Oro per la carriera al regista francese durante la prossima Mostra del Cinema: “istintivamente anticonformista, coraggiosamente eclettico”. Tavernier, dunque, sul quale torniamo con piacere alla Casa del Cinema fra maggio e giugno, con sette film variamente emblematici del suo diverso e comunque disinibito intendere il cinema: dal citato lavoro d’esordio L’orologiaio di Saint-Paul, grande interpretazione di Philippe Noiret fra l’altro, all’ultimo (e ancora inedito qui da noi) Quai d’Orsay (2013), che sbircia fra le quinte della politica d’alto bordo. In mezzo Il giudice e l’assassino (1976), Una domenica in campagna (1984), Round Midnight – A mezzanotte circa (1986), La vita e niente altro (1989), Legge 627 (1992), assaggi che segnalano l’atipicità di una produzione non classificabile nelle consuete coordinate autoriali. L’uomo e il regista accomunati da un temperamento incondizionato, tanto nelle battaglie “civili” (le campagne contro la colonizzazione berlusconiana della televisione francese, a fianco dei sans papiers, per il riconoscimento dell’eccezione culturale e tante altre) quanto nello svolgersi libero e plurale della sua filmografia. Anche se a qualcuno non piacerà, buon Leone, Monsieur Tavernier.

rassegne cinematografiche, 11/06/2015 - 11/06/2015
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