Henri Rousseau. Il candore arcaico

Sarà una mostra irripetibile. Ormai appare evidente, di fronte all’infilata di capolavori inclusi nell’elenco opere e alle articolate ricerche che hanno accompagnato la preparazione dell’evento e di cui il catalogo darà ampiamente conto: sull’autore, sui suoi riferimenti artistici e iconografici, sul contesto, sulla sua sfortuna/fortuna e soprattutto su quel filone dell’arcaismo di cui Rousseau è espressione, anello di congiunzione tra due epoche.

La mostra “Henri Rousseau. Il candore arcaico” non finisce di stupire ancor prima della sua apertura al pubblico, con la conferma del prestito - tra gli oltre 40 capolavori dell’artista in mostra (della sua esigua produzione), affiancati a circa 60 lavori d’altri importanti autori – di un dipinto fondamentale nel percorso artistico e biografico di Rousseau e mai esposto prima d’ora in Italia: l’autoritratto come pittore, Io: ritratto-paesaggio, opera di grande suggestione per quanti si avvicinano a questa singolare personalità .

Realizzata dalla Fondazione Musei Civici di Venezia con la collaborazione speciale e i prestiti eccezionali del Musée d’Orsay e del Musée de l’Orangerie di Parigi e prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore, l’esposizione nata da un’idea di Gabriella Belli e Guy Cogeval commissari dell’esposizione, condivisa e sviluppata da Laurence des Cars e Claire Bernard, curatori della stessa in collaborazione con Elisabetta Barisoni, è la prima in Italia dedicata al grande e ancora enigmatico artista francese, a parte l’omaggio resogli proprio a Venezia dalla Biennale d’Arte nel lontanissimo 1950 con una sala a lui riservata.

Accanto dunque a opere memorabili come la imponente e inquietante Guerra o Cavalcata della discordia dal Musée d’Orsay o come l’Incantatrice di serpenti, straordinariamente enigmatica e nuova, precorritrice del surrealismo e scelta ad immagine della mostra; accanto alle famose giungle del Doganiere, che arriveranno anche dal Puskin, dal Museo Ermitage, dal Philadelphia Museum, dall’Art Institute di Chicago e dalla National Gallery di Washington, ci sarà anche il ritratto proveniente dalla Národnígalerie di Praga, vero e proprio manifesto dell’autore.

Rousseau, desideroso di essere incluso nella cerchia degli artisti ufficiali di Francia, in questo dipinto esposto al Salon des Indépendants nel 1890, si ritrae a figura intera, secondo un dettame accademico, e con gli attributi del pittore. Con il basco in testa e sullo sfondo il porto di Saint-Nicolas e il Pont du Carrousel, egli regge nella mano destra un pennello e nella sinistra una tavolozza con i colori disposti in modo ben ordinato e la scritta “Clémence et Joséphine”, i nomi delle sue due mogli. “Il corpo, sproporzionato ed esageratamente monumentale – si legge in catalogo - si erge a guisa di una torre Eiffel animata. Nel cielo si alza una mongolfiera, tributo alla modernità tecnologica, cui il pittore farà riferimento anche in altri lavori”.

L’autoritratto con il quale ingenuamente Russeau riteneva di avere inventato “il ritratto-paesaggio”, con il suo “candore” fanciullesco, non smetterà di offrire infinite suggestioni: nel 1920 George Grosz e John Heartfield, nel catalogo della prima Fiera internazionale Dada, utilizzeranno una riproduzione del dipinto di Rousseau da loro manipolato con collage e inserti di materiale vario; nel 1968 Giulio Paolini farà riferimento alla notazione concettuale e al problema dell’identità che l’opera del Doganiere pone, come una questione ancora aperta. Ma l’immagine del Doganiere torna anche in altre opere in mostra, come ne Il biroccino di papà Junior (1908), in cui a tenere le redini è proprio Rousseau; mentre Robert Delaunay - grande ammiratore del Doganiere che considerava uno dei padri della modernità - gli farà un ritratto postumo a carboncino conservato al Centre Pompidou e anch’esso in mostra, tratto da una fotografia scattata da Picasso. Quest’ultimo sarò legato d’amicizia a Rousseau, acquisterà sue opere, darà una memorabile festa in suo onore. Anche di questo racconterà l’esposizione veneziana.

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