TRE OCI / TRE MOSTRE

Tre Oci Tre Mostre, format di successo giunto alla quarta edizione, inaugura la stagione espositiva 2016 della Casa dei Tre Oci, dedicata alla fotografia. Un percorso di ricerca articolato su più livelli, proponendo un percorso visivo di confronto tra i linguaggi contemporanei e la grande tradizione della fotografia veneziana. Tre proposte espositive differenti fra loro che cercano d’interpretare l’essenza della fotografia di oggi in una logica che si muove verso il superamento dei generi e la trasversalità. Non si cerchi quindi di trovare un rigido filo conduttore, se non quello dell’originalità e dell’apertura verso nuove esperienze e tendenze, nella prospettiva, fortemente voluta dal direttore artistico Denis Curti, di valorizzare le eccellenze territoriali. Come monadi distinte, universi paralleli dotati di significato e di stile autonomi, le tre mostre del 2016 sono proiettate pur sempre verso uno sfondo comune, che diviene anche soggetto di alcune delle immagini esposte: Venezia, cui La Gondola, Polillo e Obici rimandano costantemente, perché con questa città si confrontano e dialogano.

Al pianterreno della Casa il programma espositivo del Circolo Fotografico La Gondola si articolerà in tre sezioni. Lo specchio di Alice, ispirandosi al titolo del racconto di Lewis Carroll “Attraverso lo specchio”, intende trattare un aspetto della fotografia contemporanea assai dibattuto: il disaccordo tra la presunta realtà rappresentata e l'autonomia di significato che la medesima assume per il solo fatto di essere stata traslata in una fotografia. Sin da quando è stata -per così dire- esonerata dall'obbligo di “certificare” la realtà, sostituita dai nuovi media d'informazione più coinvolgenti e immediati, l’immagine fotografica ha manifestato il suo potere, quasi magico, di “oltrepassare” se stessa, come nello specchio di Alice, e di introdurre chi guarda in un mondo in cui tutto assume una dimensione allusiva, incerta e aperta su svariati orizzonti. Le immagini esposte non hanno certo l’intento di sedurre, ma piuttosto di costringere lo sguardo e la mente a un gioco ermeneutico, in cui lo spettatore tenta di scovare - nell'oggettività rappresentata - il possibile inganno, le ipotesi alternative a cui non si può dare risposta. Espongono i soci de La Gondola: Lisa Andreani, Andrea Avezzù, Antonio Baldi, Maurizio Braiato, Aldo Brandolisio, Ilaria Brandolisio, Fabrizio Brugnaro, Lorenzo Bullo, Nicola Bustreo, Dario Caputo, Paola Casanova, Carlo Chiapponi, Maria Teresa Crisigiovanni, Francesco Del Negro, Gianfranco Giantin, Matteo Miotto, Stefano Pandiani, David Salvadori, Giorgio Semenzato, Massimo Stefanutti, Maurizio Trifilidis, Fabrizio Uliana, Izabella Vegh, Giovanni Vio, Emilio Zangiacomi Pompanin, Anna Zemella. La Gondola presenta, inoltre, NeroSuBianco, un compendio, ridotto ma significativo, delle tendenze espressive in cui si riconobbe, nel secondo dopoguerra, la fotografia italiana nel decennio 1950-1960. Le immagini sono fortemente rappresentative dei due principali orientamenti dell’epoca: l’uno, teorizzato da Giuseppe Cavalli, intellettuale di formazione cattolica e crociana, tentava di rifarsi alla nostra tradizione figurativa, alle atmosfere pittoriche del primo Quattrocento: un “high key” sofisticato che suggerisse attraverso bassi contrasti la solarità e il languore mediterraneo del nostro Paese; l’altro, che ha trovato un notevole interprete in Paolo Monti, sviluppava un confronto con il percorso della Subjective Fotografie del dott. Otto Steinert, optando per una fotografia dai toni bassi, un “low key” di ascendenza quasi espressionista e in tal senso opposta alla visione di Cavalli. In mostra le celebri fotografie di Sergio Del Pero, Mario Giacomelli, Paolo Monti, Fulvio Roiter, ma anche di Gino Bolognini, Gian Pietro Cadamuro Morgante, Libero Dell'Agnese, Stanislao Farri, Ferruccio Ferroni, Nino Fornasiero, Federico Gasparotto, Riccardo Gasparotto, Piero Gioppo, Carlo Mantovani, Laura Martinelli, Gustavo Millozzi, Vittorio Piergiovanni, Ezio Quiresi, Luciano Regini, Bruno Rosso, Giancarlo Sala, Luciano Scattola, Carlo Trois. Infine, una stanza è dedicata alle vincitrici della lettura portfolio Sguardi Femminili del 2015. Francesca Cesari con il lavoro In the room riproduce la dimensione appartata e silenziosa del luogo in cui una madre addormenta il bambino attraverso l’allattamento al seno, col progressivo ammorbidirsi del corpo e l’abbandono di ogni resistenza, gioco e ostinazione. Monia Perissinotto propone un percorso emozionale con Istanbul, rappresentata come 'colei che indaga il [suo] essere straniera'. Caterina Burlini con Flora elabora un progetto fotografico ampio, tutt'ora in corso, in cui la natura e la figura femminile si fondono, fino a diventare l'una parte dell'altra.

Nei saloni del piano nobile, la mostra Visions of Venice, curata da Alessandro Luigi Perna: 75 immagini di Venezia (dal piccolo al grande formato) realizzate da Roberto Polillo nell'ambito di un progetto personale pluriennale dedicato alla città, che a sua volta costituisce il primo capitolo del più ampio 'Impressions of the World', un lavoro fotografico che tenta di cogliere il Genius Loci di vari paesi del mondo. Polillo sembra usare la macchina fotografica- grazie alla tecnica di ripresa ICM, Intentional Camera Movement - come fosse un pennello: tempi molto lunghi e movimenti di ripresa sempre diversi - verticali, orizzontali, circolari, obliqui, lenti o bruschi - fanno delle sue fotografie affascinanti rappresentazioni pittoriche della realtà. Le “immagini-acquarello” sembrano così ritrarre una Venezia eterna, luogo dell’anima, che pare essersi fermata, come una pellicola, a registrare il transito ininterrotto di mercanti, viaggiatori, letterati e artisti. Come un alfabeto o un codice matematico Visions of Venice si presenta come una sequenza dove la brillantezza cromatica e la luminosità catturano lo sguardo di chi guarda, dove la celerità dello scatto fotografico cede il posto alla fluidità e al movimento delicato. A ispirare Polillo sono grandi i pittori viaggiatori dell'Ottocento (in particolare gli orientalisti) e artisti quali Delacroix, Matisse, Renoir, Van Gogh, Turner, De Chirico. Servendosi della fotografia per esprimere emozioni, l’autore non aspira a raccontare o descrivere Venezia, ma a esplorarla nelle sue variazioni, in differenti momenti della giornata e nelle diverse stagioni dell'anno, carica di colori e umori mutevoli. Come fosse in grado di delineare la vasta gamma dei sentimenti umani attraverso le sue luci, le sue ombre, è luminosa e solare, cupa e misteriosa, gotica e avventurosa oppure malinconica, desolata, a volte persino disperata. La mostra è accompagnata da un volume, edito da Skira, in edizione bilingue italiano e inglese, che presenta circa 120 immagini, oltre a una selezione di citazioni su Venezia tratte dalle opere di alcuni dei più grandi scrittori italiani e internazionali.

Al secondo piano la mostra di Giulio Obici, Il flâneur detective, a cura di Renato Corsini. Per oltre quarant’anni editorialista e inviato speciale, Obici ha seguito le grandi inchieste sul terrorismo, da Piazza Fontana al delitto Moro, indagando parallelamente i grandi eventi giudiziari. Come fotografo ha rivolto lo sguardo alle radici del Palazzo, la strada, là dove scorre la vita della gente, senza smarrire il piglio indagatore e il rigore analitico esercitati nel mestiere di giornalista. Nel 2015 Marsilio Editori ha pubblicato il libro Il flâneur detective: una serie di racconti che Obici aveva scritto verso la fine degli anni ‘90, resi disponibili grazie al lavoro di Olivia Corsini che, dopo la morte del giornalista-fotografo, ha dato forma al suo archivio, provinandolo, catalogandolo, sezionandolo e interpretandolo. Il flâneur detective è anche il titolo di questa selezione di fotografie. A detta di Walter Benjamin, il flâneur è colui che “viene condotto” dalla strada in un tempo scomparso: “Chi cammina lungo le strade senza meta viene colto dall’ebbrezza ... e sempre più irresistibile si fa il magnetismo del prossimo angolo di strada, di un lontano gruppo di foglie, del nome di una strada…” (Parigi, capitale del XIX secolo: i passages di Parigi). E la strada è la protagonista delle immagini di Obici: “sono un fotografo di strada: là mi trovo a mio agio. Come da giornalista, così da fotografo, non invento un fatto; ma lo cerco, lo indago o lo colgo al volo, e lo narro”. Obici: il flâneur per eccellenza che ritrae vetrine, muri, cartelloni, vie. Forte è la percezione della consapevolezza di un senso di decadenza e di vuoto, di degrado e omologazione verso cui si avviava l’Italia, come un’intuizione di scomparsa, un’atmosfera di grigiore e mediocrità ulteriormente dilatate e amplificate dal bianco e nero. Obici del resto fotografava esclusivamente in bianco e nero, con le Leica M, stampando da sé le proprie foto. Come sottolinea il curatore Renato Corsini, l’approccio di Obici allo scatto “è personalissimo, mai banale, attento a ogni accadimento, furbo e ironico, ricercato, atteso e provocato dalla sua capacità di osservatore, intimo, mai invasivo, colto e capace di vederne il dopo, di interpretarne anzitempo la storicizzazione, coinvolgente e spesso divertente”. La fotografia riproduce qui un “piccolo miracolo”: quello del gesto che in una frazione di secondi tratteggia un intero mondo.

La Fondazione di Venezia, negli anni ha acquisito vari archivi e fondi fotografici per dedicarli alla fruizione e in generale alla diffusione della cultura fotografica in Italia, e in particolare a Venezia dove ha aperto al pubblico la Casa dei Tre Oci. Ai Tre Oci la fotografia ha trovato la propria casa con mostre, workshop, seminari, laboratori, convegni, e importanti esposizioni monografiche dei grandi maestri della scena internazionale. Il progetto Tre Oci è sviluppato in collaborazione con Civita Tre Venezie e con il sostegno di Veneto Banca e Grafica Veneta.

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