GEORGE BARBIER 1882-1932 LA NASCITA DEL DÉCO
A Palazzo Fortuny fino al 5 gennaio 2009

Collezionisti, raffinati bibliofili, elitarie schiere di frequentatori del beau monde se lo contendevano, ne apprezzavano l’estro e l’abilità a catturare un’atmosfera, uno stile. Dopo, l’oblio, per lunghissimo tempo. George Barbier (1882-1932) illustratore, disegnatore di costumi e scenografie mirabolanti, fondatore di riviste, decoratore di almanacchi, pubblicitario ante-litteram. È il celebre sconosciuto, animatore del dèco a cui Palazzo Fortuny dedica una mostra (fino al 5 gennaio) a cura di Barbara Martorelli, intendendo riprendere «un racconto rimasto sospeso». Barbier muore all’apice del successo nel 1932, a 50 anni, e non lascia eredi. Sei mesi dopo un’asta a Parigi si sbarazza della sua collezione, della preziosa biblioteca in circostanze piuttosto misteriose. Di lì a poco scivola nella dimenticanza. Il tracciato lieve e verticale delle sue composizioni ben si adatta al contenitore che lo ospita nel più spiritico degli spazi, quel veneziano Palazzo tortuoso che condensa le gesta di Mariano. L’allestimento di Daniela Ferretti evoca eleganza déco. Il milieu in cui si muove l’anglofilo George è quello di Henry de Règnier, Gabriele D’Annunzio, Gerard d’Houville. Più trattenuto e «igienico» forse,nel segno e nelle intenzioni, lontano da estreme conseguenze estetizzanti. Lo si direbbe sano, nei modelli di riferimento, nella rappresentazione di figure, se anche sottilissime mai languenti. Un forte spirito «classico» dà sostegno ai corpi che non torcendosi sfidano l’aria a pieni polmoni. L’attenzione è al corpo e alla figura umana. Lo slancio ellenico, il motivo mitologico. Anche nei bozzetti per costumi da film, nel disegno di gioielli per Cartier, nelle illustrazioni di fiabe contemporanee.

Nato nella provincia francese alla fine dell’800, figlio di un negoziante,già da subito non ha dubbi sulla sua vocazione. Fonte unica: la biografia di Vaudoyer per la collana «Les artistes du livre». Lo si visualizza tutto intento a riprodurre dipinti di Watteau, la «Dame» d’Ingres nel museo local edes Beaux-Arts. In uno scritto apparso nel 1922 è lui stesso a dare testimonianza della sua nascente vocazione intrisa di gusto neoclassico-parnassiano inequivocabilmente fin-du-siècle. Che sia ammaliato dal genio di Aubrey Beardsley lo testimoniano i saccheggi in Inghilterra, così come certe atmosfere preraffallite filtrate da William Morris e consorteria. Certo, altra l’impronta e il tono. Mediato da una disposizione francese spumeggiante e libertina; spensierata e pochissimo esoterica. «Sorride distaccato dinnanzi al cubismo, ironizza davanti alla parola avanguardia. (...) Ama il bello, la linea e il rigore del contorno (..) difende il decorativismo delle stampe giapponesi, dei vasi e delle lacche cinesi, ama il settecento veneziano», ci indica la curatrice.

Guardando agli incontri, quelli che creano svolte: su tutti l’industriale mecenate Alphonse Lotz-Brissonneau, suo appassionato committente. Tra le cose più riuscite: le atmosfere orientaleggianti di «Shèrhèrazade» per la rivista Modes et Manières d’Aujourd’hui. Le splendide edizioni impostate sui Balletti russi dedicate al volo di Nijinsky. I cinque volumetti-almanacchi La guirlande desmois (1917-1921) per le edizioni Meynial. E l’incantamento per Venezia, i suoi labirinti amorosi, gli intrighi, i notturni folleggi. Occasione per illustrare con gusto voyeuristico le avventure galanti di un fatuo Casanova-filosofo. Sulla consistenza dell’acqua lagunare si sofferma dopo un temporale che l’ha colto al suo arrivo: «Un velo d’argento copre il cristallo dell’acqua, dei luccichii vi tremolano come gocce d’assenzio in un bicchiere, l’azzurro opalino si confonde con il cielo....»

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