Bilal. Il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi (Premio Terzani 2008), è il titolo del libro che Fabrizio Gatti, giornalista, ha scritto sulla sofferenza, silenziosa e sconvolgente, di chi si mette in marcia dal Sud del mondo per inseguire il sogno una vita migliore al di là del Mediterraneo.
Il libro è ora anche uno spettacolo, di e con Fabrizio Gatti e Gualtiero Bertelli, in programma al Centro Culturale Candiani venerdì 8 maggio alle ore 21.00. A far da sfondo alla storia, una serie di immagini dal Sahara dello scrittore e altri straordinari fotografi su musiche di Bertelli, in parte tratte dai repertori dei Paesi di provenienza dei nuovi schiavi.
L’evento è preceduto, alle ore 18.00, da un incontro con l’autore e fotografie di Fabrizio Gatti saranno inoltre esposte, dall’8 al 31 maggio, nella mostra Il viaggio di Bilal, allestita nello spazio espositivo al quarto piano del centro.
Nel libro, il mondo dell’immigrazione è visto dalla parte dei protagonisti, Fabrizio Gatti diventa Bilal e attraversa il Sahara sugli stessi camion che trasportano clandestini. Lungo la strada incontra affiliati di Al Qaeda e scafisti senza scrupoli, riesce ad infiltrarsi nelle organizzazioni criminali africane e nelle aziende europee che sfruttano la nuova tratta degli schiavi. Arrestato come immigrato clandestino, vive sulla propria pelle l’osceno trattamento riservato agli immigrati nei centri di permanenza temporanea e scopre i nomi, le alleanze e le complicità di alcuni governi che non fanno nulla contro il traffico di schiavi e, al contrario, ci guadagnano.
Bilal è la cronaca della più grande avventura del Terzo Millennio, un racconto lucido, quasi brutale: “Il dodici per cento delle persone che partono dalle coste della Libia e dalla Tunisia non arriva in Europa. Il dodici per cento” spiega l’autore “significa che tra 182 passeggeri su questo camion, 22 moriranno. E se di questo si salveranno tutti, del prossimo ne moriranno forse 44. Oppure 66 di quello che verrà dopo”, un resoconto spietato e acuto, tanto più amaro, perché Bilal è una storia vera.