La riflessione di Tamara Kvesitadze sull’arte visiva supera qualunque categoria specifica di supporto. Kvesitadze è impegnata, piuttosto, sul versante di ciò che Gilles Deleuze in “What is Philosophy” definirebbe una comprensione non filosofica delle questioni filosofiche, ovverosia un filone di pensiero artistico che sfida, in particolare, la violenza intrinseca derivante dal rifiuto di una logica di identità o similarità. Resistendo a tale logica, Kvesitadze nega l’accesso all’omogeneizzazione, alla strumentalizzazione, al territorialismo o a qualunque altra condizione antropologica sussumente, facendo invece propria un’attenzione per i processi mutevoli della comprensione dei poteri e dei desideri dell’umanità. Al centro dell’opera che il visitatore incontra entrando nello spazio espositivo del Palazzo vi è un processo che esprime la forza e la passione dell’interruzione e delle metamorfosi. L’opera F=-F dell’artista è costituita da una struttura a parete nella quale si individua una scultura di volti umani compressi: una moltitudine di volti senza nome, in cui ciascuna forma di singolarità, nel rispetto di un principio orizzontale di organizzazione, sembra essere stata sottratta. Dietro alla parete, l’installazione Sphere mostra la realtà dinamica dei processi di mutazione e trasformazione, esseri umani come “costruttori di sfere” (Peter Sloterdijk), esseri consapevoli di essere stati costretti, in passato, a vivere su un globo o una sfera, vale a dire mondi da riprogettare continuamente.