L'8 Marzo anche alle 16.30
Testo teatrale di Samuel Adamson basato sul film di Pedro Almodóvar.
Traduzione Giovanni Lombardo Radice.
Con Elisabetta Pozzi, Alvia Reale, Eva Robin's, Paola Di Meglio, Alberto Fasoli, Silvia Giulia Mendola, Giovanna Mangiù, Alberto Onofrietti.
scene Antonio Panzuto
costumi Gianluca Falaschi
luci Alessandro Verazzi
suono Daniele D'Angelo
regia Leo Muscato
produzione Fondazione Teatro Due - Teatro Stabile del Veneto
Manuela, la protagonista della nostra storia, ha un’esistenza decisamente poco ordinaria. Nel corso della sua vita ha fatto tante scelte, una più difficile dell’altra: quella di rimanere accanto all’uomo che amava anche dopo la trasformazione che l’ha portato ad avere un paio di tette più grosse delle sue; quella di fuggire lontano, sparire senza lasciare traccia di sé, nel momento in cui si rende conto di essere incinta. Quella di crescere suo figlio Esteban da sola, di non dirgli nulla di suo padre, chi fosse, cosa facesse né il perché della sua assenza…
Ma un giorno suo figlio la mette con le spalle al muro ed esige da lei le risposte a tutte le domande che da diciassette anni gli risuonano in testa. Manuela si rende conto di non poter più fuggire e gli fa una promessa, quando però è il momento di mantenerla è ormai troppo tardi, improvvisamente è un’altra vita. Manuela scappa di nuovo. Un profondo senso di colpa la porta a intraprendere un viaggio, a confrontarsi col passato e andare alla ricerca di quel padre, a cui poter finalmente raccontare tutto di suo figlio. In questo viaggio incontra altre donne in bilico sul ciglio della vita, ognuna col suo dolore che gli morde in petto, ma tutte con una visione ironica della propria esistenza, una sorta di basso continuo in questa sinfonia per anime sole.
Incontra la famosa attrice Huma Rojo, un’icona per suo figlio Esteban, e scopre che nella vita privata è un’anima in pena, alla continua rincorsa di un amore malato verso una ragazza molto più giovane di lei, Nina, fragile, in fuga da ogni cosa, prima di tutto da se stessa. Incontra Suor Rosa, un’anima complicata che non vuole rinunciare a credere all’esistenza di un amore incondizionato che non si aspetti nulla in cambio. In parallelo Rosa vive il conflitto con sua madre, una donna apparentemente anaffettiva, ma che in realtà è soltanto indurita dalla vita. E incontra Agrado, travolgente amica trans, spirito franco, convinto che nella sua vita di autentico ci siano soltanto i sentimenti e il silicone.
Manuela diventa necessaria a ciascuna di loro e in qualche modo inizia a imparare di nuovo a fare cose che possano durare nel tempo.
Lo spettacolo sta a una certa distanza dal film: il testo di Adamson ha un andamento quasi onirico ed Esteban diventa una figura Kantoriana, una specie di Virgilio che prende lo spettatore per mano e gli fa fare un viaggio nel suo taccuino, un luogo in bilico fra la realtà e l’immaginazione, in cui sono appuntate tutte le idee per scrivere un’opera teatrale su sua madre e il cui titolo sarebbe appunto Tutto su mia madre. Sono tanti i temi affrontati in questa storia. Si parla di maternità, paternità, omosessualità, uomini che diventano donne, nonne che diventano madri. Si parla fortemente di teatro, cinema e scrittura; di malattia, di droga, aids, di trapianti, donazione di organi, d’amore e di morte. Un dolore di fondo, filtrato da una visione ironica dell’esistenza stessa. E alla fine viene fuori un modello di famiglia anticonvenzionale, in cui l’unica cosa che conta e l’amore che si è in grado di dare a un’anima innocente.
È il trionfo dei grandi sentimenti, basterebbe spingere appena il pedale del pathos per scivolare nel “melodrammatico”, ma a fare da paracadute c’è il gioco, la leggerezza, l’ironia e il ritmo serratissimo. L’opera teatrale, ancora più del film, è un grande omaggio alle donne, al teatro e all’arte delle attrici. E non tanto per le citazioni dal film Eva contro Eva, o per le scene ambientate fra camerino e palcoscenico su cui Huma Rojo recita Un tram chiamato desiderio, quanto per l’alternanza di momenti di autenticità, a momenti in cui si sospende la credibilità e lo spettatore è indotto alla riflessione.