“Di solito la gente è infastidita da quei passi della Bibbia che non comprende, mentre i passi che infastidiscono me sono quelli che comprendo.” Mark Twain, Mark Twain’s Notebook, 1935.
Un confronto tra la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Costituzione italiana rispetto alle, così dette, Sacre Scritture. Da un lato un contemporaneo compendio giuridico di diritti e doveri civili, politici, economici e sociali, frutto della nostra civiltà e della nostra storia, rivedibili democraticamente man mano che la società cambia, evolve, esprime istanze diverse; dall’altro la “parola di Dio”, sacra e pertanto autoritaria e immutabile nei suoi precetti e nelle sue regole.
Il problema è, che nelle righe della Bibbia, che in greco signifi ca i libri, un insieme di libri differenti per origine, genere, composizione e datazione, scritti in un lasso di tempo abbastanza ampio e preceduti da una tradizione orale più o meno lunga, si ravvedono contenuti sicuramente incompatibili con le “regole” laiche e civili di pacifi ca convivenza e di confronto tra le persone, con i diritti sulle pari opportunità e con il rispetto delle minoranze e delle libertà di espressione individuali.
Dunque, nell’osservanza del precetto religioso, il “potere religioso” e il credente si potrebbero porre in contrapposizione con le leggi laiche provocando conseguenze negative su altri cittadini, così come possono creare problemi le pretese che le disposizioni sacre siano assunte come norme degli Stati, per non parlare poi del fondamentalismo religioso. Una precisa analisi di queste incongruenze verrà trattata attraverso l’esame dei più importanti articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, e della nostra Costituzione repubblicana, la legge fondamentale dello Stato italiano, in contrapposizione alle “regole” religiose espresse nei versi della Bibbia. Un modo per ricordare a tutti che la laicità è un grande e irrinunciabile valore sia per i non credenti che per i credenti e che, questi ultimi, potrebbero probabilmente vivere meglio la propria religione, in piena e singolare libertà spirituale, senza la necessità di doverla imporre agli altri.