Pochissimi in Europa conoscono la parola Porrajmos. Eppure ricorda una delle pagine più terribili della memoria di quei popoli che ci si ostina a chiamare 'zingari' e 'nomadi'.
Porrajmos è la parola che nelle lingue sinte e rom definisce il “divoramento” subìto tra il 1934 e il 1945.
L’Europa nazista e fascista fu teatro dell’annientamento di almeno la metà dell’intera popolazione rom e sinta europea. Cinquecentomila uomini, donne e bambini perseguitati, imprigionati, uccisi, deportati nei lager e seviziati, vittime degli orrendi esperimenti medici nazisti, sterminati nelle camere a gas e nei forni crematori.
Nei processi ai nazisti colpevoli di crimini contro l’umanità che seguirono la liberazione, primo tra tutti
quello di Norimberga, Rom e Sinti non ebbero spazio.
Le loro sofferenze non solo non vennero mai indennizzate ma nemmeno prese in considerazione. Solo nel 1980 il governo tedesco, in seguito ad una iniziativa della Verband Deutscher Sinti und Roma, riconobbe ufficialmente che i Rom e i Sinti durante la guerra avevano subito una persecuzione razziale. La persecuzione razziale subita dai Rom e dai Sinti continua ad essere rimossa o addirittura negata.
In Italia le popolazioni sinte e rom non hanno ancora ricevuto nessun riconoscimento ufficiale per le persecuzioni su base razziale subite durante la dittatura fascista. La Legge n. 211 del 20 luglio 2000 che istituisce il Giorno della Memoria non ricorda esplicitamente lo sterminio subito dalle popolazioni sinte e rom.
Tutt’oggi, Rom e Sinti sono bersaglio di attacchi e violenze, fisiche e verbali. Vengono rinchiusi nei “campi
nomadi”, abbandonati nelle periferie, scacciati, espulsi dalle città e persino dal Paese. A loro viene ancora
negato il diritto di essere parte integrante dei nostri paesi europei.