La sfida di Kalendae, -arum (Venezia, Sinopia, 2010), il libro della veneziana Silvia Zoico, affila le armi di un intrigante 'corpo a corpo', condotto senza esclusione di colpi, fra il meticoloso assemblaggio di una forma poetica 'alta' e la vertigine rasoterra di una 'storia condivisa' di crescente disumanità, nel suo viraggio da patrimonio comune di anticorpi a ferita psichica del soggetto; sfida che brandisce con rinnovata pietas un significante centrale, e cioè quel luogo di 'lacerazioni' per eccellenza rappresentato nel corso dei secoli dal corpo femminile, vero baricentro etico dell'intero percorso.
Di verso in verso, il poemetto chiama le proprie geometrie ad assorbire e rilanciare, attorno a quel corpo, l'urto di traumi e continue oscillazioni; ecco allora che Zoico piega la struttura strofica delle stanze, ciascuna di dodici versi in forma di doppia sestina invertita, a perimetro ove incastonare inedite collisioni del lessico, sfruttando le clausole in rima come detonatori di senso. Così, mens può assuonare con lap dance, Abu Ghraib con indice Mib, Deuteronomio con manicomio, in una radiografia di equivalenze fonetiche che relativizza, non senza ironia, distanze concettuali e temporali incolmabili, rimbalzando fra le stagioni della storia e le s-ragioni di divinità distratte, cronicamente inadempienti.