La pittura nei lavori di Pagin è esercitata quale prassi intima e personale, un processo d’esteriorizzazione delle proprie pulsioni, un dialogo con se stesso senza inibizioni. Nei quadri espone l’ossessione per la carnalità: mammelle, gambe, natiche, vulve frapposte a frutti, animali e forme falliche. I corpi lacerati dalla libido rendono un effetto visceralmente erotico, ma mai pornografico. Le visioni di genitali esplodono in una giaculatoria irrefrenabile, vomitata da chi non vuole più sottostare alla finta moralità d’una società malata di sesso. Affiorano così pulsioni carnali tipicamente umane, celate solitamente nel segreto delle fantasie più indicibili.
L’azione pittorica di Pagin si suddivide in due momenti: il primo rapido e impetuoso, come a voler assecondare un desiderio improvviso; nel secondo, invece, l’artista sembra tornare padrone di se stesso. Da subito la superficie pittorica viene aggredita, solcata da segni grafici violenti e frenetici. La furia iniziale è poi placata da ampie campiture di colore azzurro e rosa, capaci d’ingentilire le linee graffianti. Lo sfondo celeste trasfigura la corporalità collocandola nella dimensione onirica dell’estasi sensoriale. Pagin sfrutta l’arte come atto di libertà e, assieme, d’affermazione individuale: dichiara la propria esistenza in carne ed ossa, ma soprattutto in carne. Al vernissage, affianco alle pitture, tenterà di perseguire questo obiettivo applicando dei sondini al proprio corpo, nella speranza di scoprire dove risiedano gli istinti carnali e il desiderio di vivere.