Prosegue il progetto culturale di Segnoperenne sulla visione pittorica, ideato e curato dal critico Gaetano
Salerno e inaugurato dalla collettiva Segni della Visione, con la doppia personale Mappe della Visione degli artisti Franz Cimitan e Edoardo Pilutti, in programma presso
lo Spazio Metropolitano del Centro Culturale Candiani con il
patrocinio dell’Assessorato alle Attività Culturali del Comune di Venezia.
La mostra non sottolinea il dialogo tra i due pittori, piuttosto evidenzia il loro differente approccio al mondo
esterno partendo da impulsi comuni e indaga il processo osservativo, riflessivo ed elaborativo che conduce
l’artista alla realizzazione e alla resa di personali mondi pittorici, sottolineando così le antitesi dei rispettivi
approcci sensoriali alla costruzione dell’immagine. La realtà è pre-testuale, talvolta pretestuosa; la pittura è
invece la finestra attraverso la quale la stessa realtà, filtrata dai vissuti, si carica di nuovi significati e si
esprime attraverso nuovi sensi, attraverso nuove strategie osservative, evocando nuovi costrutti.
La pittura di Franz Cimitan, risolta spesso con stracci oltre che con pennelli, togliendo o aggiungendo
vigorosi accumuli di colore, è nebulosa e informe nel segno aggrovigliato, la prospettiva rigorosamente
cromatica e priva di punti di appiglio o di linee costruttive, la tavolozza è scura, tendente ad evidenziare
pochi elementi di un mondo atmosferico in subbuglio, la commistione primordiale tra le strutture primarie
della natura che trovano nello scontro e nella sovrapposizione lo stato formativo della materia, accettando
l’idea di una realtà in formazione. I richiami ad un sentire proto-romantico evidenziano l’energia di un
Universo inquieto e inafferrabile, il coinvolgimento sensoriale a questa idea sublime è evidente, immediato,
compartecipato, rendendo più credibile e vera l’illusione emotiva della visione mimetica.
Per contro la pittura di Edoardo Pilutti è limpida e cristallina, orchestrata sui toni freddi del blu, visioni
imbrigliate in close-up che distorcono impercettibilmente le linee prospettiche suggerite dalla luce radente -
talvolta fisica, talvolta metafisica - che schiude gli elementi alla nostra osservazione, delineandone i confini e
le forme con componenti iperrealiste che tuttavia non rievocano il distacco imparziale della fotografia.
Anche nel lavoro di Pilutti si inserisce l’elemento sensoriale che diventa però partecipazione alla precisione
delle forme ottenuta con pennellate piccole e ponderate, con gesti contenuti, con azioni ripensate e corrette
come se nell’azione meccanica suggerita dall’occhio si celasse il segreto per comprendere e correggere le
incongruenze di una realtà già definita, apparentemente statica.
In entrambi i casi il soggetto pittorico è ininfluente; sia esso l’infinitezza della volta celeste sconvolta dagli
eventi atmosferici, il crinale alberato e innevato di una montagna, l’ansa di un fiume, l’insenatura costiera, si
configura come pretesto di analisi, nella duplice accezione di spinta all’azione pittorica e scrittura visionaria
che precede la traduzione segnica: la pittura è visione e la costruzione dello spazio fenomenico segue linee
emotive, sensoriali, esperienziali ed inferenziali che conducono e orientano lo sguardo dell’artista (e poi il
nostro) verso particolari eletti ignorandone altri, succubi di attenzioni selettive, richiami empatici,
acquisizioni costanti di elementi significativi generati da stimoli in perenne trasformazione.
Di questo mondo che sussiste perfetto ed invariabile solo all’interno di una perfezione kantiana sterile e
utopica, la pittura costituisce l’unico stralcio di verità, attingendo a quella certezza indubitabile che esiste
solo nella mente dell’artista e che si costruisce nello spazio della tela seguendo coordinate invisibili eppure
certe, fino a costituire mappe della visione che improvvisamente assumono la consistenza di immagini
conclamate e dipinte come reazione al caotico ed irrazionale fluire delle immagini nella materia.