Open#5, con la partecipazione di quindici artisti più decine di curatori, organizzatori e allestitori, rompe con i modelli tradizionali della produzione artistica e conferma il S.a.L.E. quale “anomalia psicogeografica”. Open#5, coerentemente con la storia di S.a.L.E. Docks, tenta di plasmare l’esperienza dell’arte quale forma di vita critica, una critica che eccede di molto la “funzione opera” quale luogo di produzione di microtopie o di modelli alternativi di relazione.
S.a.L.E e Open#5 vogliono affermare, nella pratica, uno spazio aperto ed attraversabile, uno spazio messo in moto dalla cooperazione, uno spazio, infine, che riflette una città viva.
L'organizzazione del progetto è iniziata il 24 ottobre scorso con un incontro pubblico al S.a.L.E., preceduto a sua volta da un appello indirizzato a chiunque fosse stato interessato a costruire “da zero” la nuova Open.
A questo primo appuntamento hanno partecipato oltre centotrenta persone: artisti, curatori, studenti, grafici, architetti, allestitori e organizzatori. Da quel momento il S.a.L.E. è diventato fucina viva della produzione materiale e immateriale della mostra. Il gruppo originario è stato diviso in tavoli di lavoro dai confini porosi (artisti, curatori, organizzatori, comunicatori, allestitori), mentre tutte le decisioni più importanti sono state prese collettivamente all’interno delle cosiddette assemblee plenarie svolte con cadenza periodica. Anche per questo, Open#5 è qualcosa che ribalta i canoni tradizionali “Più che una mostra, un nuovo stile!”.