Dopo il periodo rivoluzionario, il ripristino del culto nel 1803 comporta un rinnovamento della musica sacra, dapprima senza vero scalpore poiché i musicisti mancano dell’adeguata formazione. Le iniziative didattiche di Choron nel 1825 e di Niedermeyer nel 1853 procedono di pari passo con l’interesse per Palestrina; la Schola cantorum (1894) s’inserirà nella loro tradizione.
Nonostante una certa militanza in favore della restaurazione del canto gregoriano e della creazione di uno specifico repertorio sacro, la musica destinata al culto confonde la propria estetica con quella dell’opera romantica. A scapito della messa ordinaria i compositori privilegiano il Requiem, sull’esempio di Cherubini, Berlioz, Saint-Saëns, Bruneau, Gouvy o Fauré.
Ma l’elemento spettacolare viene abbandonato nel corso del secolo a beneficio di un’espressione più eterea, di lì a breve modellata sullo stile di Saint-Sulpice. L’attenuazione del dogma e la diffusione delle idee del cattolico ultramontano Lamennais favoriscono inoltre lo sviluppo dell’oratorio (Elwart, David, Gounod, Franck, Dubois, Massenet...), offrendo maggiore libertà ai compositori.
Théodore Gouvy spingerà peraltro il genere ai suoi limiti estremi, dalla cantata per voce sola (La Religieuse), alle opere “non sceniche” (Œdipe à Colone, Polyxène, Électre…), passando per il più scontato Calvaire del 1877. Solo il mottetto sembra attraversare i secoli suscitando un identico interesse – artistico ma anche funzionale e commerciale – tra gli artisti.