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The Garbage Patch State Venice

Maria Cristina Finucci, per la rappresentazione a Venezia del nuovo Stato, presenta una specifica installazione fatta di tappi di plastica colorata, imbrigliati da reti, che dal padiglione trapassano verso il Gran Canal. Una metafora dello straripare della plastica e dei rifiuti in tutti i mari e gli oceani del pianeta. All’interno del padiglione, la sua video-opera “ Dentro”, proiettata a 360°, darà allo spettatore la sensazione di essere immerso in un mare di plastica.

I Garbage Patch sono enormi agglomerati di rifiuti non biodegradabili galleggianti nell’Oceano Pacifico. Isole fluttuanti costituite da milioni di tonnellate di materiali plastici trascinati dalle correnti marine e concentrati in un vortice infinito. Le loro dimensioni aumentano incessantemente. Pare che abbiano già le proporzioni di un continente; se fosse vero, li potremmo intendere come speculari rispetto ai continenti che abitiamo: un inquietante contrappasso. Sono infatti estremamente pericolosi. La loro presenza pregiudica gli equilibri della biosfera: non solo questi residui, eliminati dalla catena consumistica, minacciano gli animali che ingeriscono direttamente la plastica; ma decomponendosi lentamente, rilasciano in mare sostanze perniciose, che gli esseri viventi assimilano, immettendole così a loro volta nel più ampio ciclo riproduttivo e alimentare. I Garbage Patch hanno effetti estremi e rappresentano una vera e propria urgenza planetaria; ma sono poco visibili. Affiorano solo parzialmente alla superficie, hanno aspetto mobile e forma indeterminata. Ci appaiono remoti. Raramente fanno notizia, e comunque sinora hanno suscitano solo blande reazioni. La notizia della loro esistenza suona come se provenisse da un’altra dimensione, lontana nello spazio. Non si trasforma in consapevolezza condivisa. Si tratta di una disattenzione pericolosa. Maria Cristina Finucci ha visto nei Garbage Patch un simbolo dell’attuale crisi nella relazione tra uomo e ambiente. Una crisi che trascina con sé ampie considerazioni su ciò che siamo, sul mondo che viviamo, sulla necessità di rispettare le risorse offerteci dalla natura. Siamo condizionati al bisogno, al consumo. E i nostri acquisti finiscono per lo più in “rifiuto”, abbandono. Questo alimenta la catena della produzione industriale e del degrado ambientale. Inoltre, secondo la stima del Commissario Europeo per l’ambiente, Janez Potočnik, la popolazione del nostro pianeta supererà probabilmente quota 9 miliardi entro la metà di questo secolo. Urgono un’analisi approfondita e una riflessione in termini di prospettive possibili perché abbiamo un micidiale potere di autodistruzione e rischiamo di pregiudicare irrimediabilmente gli equilibri della biosfera. La qualità della vita sul pianeta dipende da noi. Puntando sulle vitali risorse dell’immaginazione, ma senza dimettersi dalla realtà, Finucci ha intrapreso un’opera in progress, di grande impegno e di deciso valore comunicativo: quella di trasformare i Garbage Patch in entità presenti, ineludibili. Per farlo ha dato a queste isole forma tangibile, riconoscibile, quella di uno Stato, il Garbage Patch State, o away state; lo Stato di ciò che gettiamo via, away, ma anche lo Stato che è “away”: remoto, altrove, lontano da noi, dai nostri occhi; una di quelle notizie che, più o meno consapevolmente respingiamo come estranee alla nostra vita, relegandole alla periferia dello sguardo e del pensiero. L’away state è un riflesso diretto e incontrovertibile delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti; rappresenta bene, in senso reale e metaforico, il “rimosso” della società dei consumi. L’affermazione simbolica del Garbage Patch State si associa, per Maria Cristina Finucci, all’insieme di simboli e funzioni che connotano ogni Stato: un inno, una lingua, dei costumi, una costituzione, una politica, archivi, presidente e ambasciatori, portavoce e burocrati. Naturalmente il Garbage Patch State è dotato di una bandiera; ma così come lo Stato si sottrae alla visibilità pubblica, anche la sua bandiera è trasparente. Inoltre è insidioso, aggressivo e bellicoso; ad alimentarlo sconsideratamente rifornendolo di armi siamo noi. È abitato da una popolazione variegata e stratificata, una collettività numerosissima e longeva fatta di individui dotati ognuno di un proprio carattere e di una propria storia. A impersonarli sono bottiglie, barattoli e tappi: portatori sani di un disastro ambientale. Finucci ha messo in campo un discorso narrativo, una sorta di storytelling che parte da lei e poi, facendo leva sul protagonismo individuale, si trasforma in processo interattivo e si fa collettivo. Il Garbage Patch State funge infatti da catalizzatore di idee e di energie e, con il progetto Wasteland, tocca scuole, università, musei, coinvolgendo un grande numero di persone. Coloro che entrano in contatto con il progetto sono invitati a stabilire un legame, a partecipare, a identificarsi nel processo di costruzione del racconto. I loro apporti potranno essere accolti. Fedele alla propria aspirazione a una condivisione degli intenti e dei processi creativi, Finucci apre insomma una dimensione intermedia tra quella collettiva e quella personale. Mentre s’intrecciano informazioni scientifiche e fiction, interpretazioni di diversa provenienza si sovrappongono e si compongono nello sviluppo della storia, e la narrazione si arricchisce, si articola e si sfaccetta a ogni nuova tappa. Pur mantenendo un forte rapporto con la realtà, il progetto si basa sulla discontinuità. Dislocazione e trasposizione fantastica contribuiscono ad aprire uno spazio altro: lo spazio di una ribellione, di un sabotaggio. Si tratta però di un sabotaggio a fini costruttivi; di una ribellione che, attraverso la creazione di una nuova narrativa, intende generare una risposta a una situazione di rischio reale. L’obiettivo è quello di spezzare l’ottundimento generalizzato, di risvegliare la sensibilità collettiva e di metterci di fronte ad aspetti della realtà che non riusciamo più a cogliere perché soffriamo di un deficit di attenzione; la finalità è quella di lavorare in comune per preservare l’ecosistema in pericolo. Wasteland è un atto poetico, è lo spazio di un gioco; ma si tratta di un gioco serio, che s‘innesta su una situazione cruciale. Conferendo evidenza al danno ambientale che generiamo, rappresenta un’accusa di negligenza e di cecità e ci mette di fronte alla nostra responsabilità rispetto al presente e al futuro. Insiste sulla necessità di nuove pratiche e di nuove misure ecologiche. Rappresenta una sollecitazione a riflettere sulle modalità di condurre il progresso. E declinandosi in un discorso articolato, diventa spazio agibile; è già stato presentato a Parigi, presso la sede dell’UNESCO, e a Ca’ Foscari, a Venezia. Tra le prossime tappe ci sarà Roma; in tutti questi casi diventa occasione per interpretazioni molteplici e per un’interazione riflessiva. Finirà per coinvolgere i cittadini del mondo in un flashmob. Maria Cristina Finucci è convinta che, per instillare negli individui il desiderio di tale cambiamento, non si debba gridare alla catastrofe, non bastino i fatti e le cifre, ma occorrano il desiderio e la fantasia, lo stimolo di ciò che “potrebbe essere”; e che, proprio quando non si intravede una soluzione, occorra inventare uno spazio nuovo. Il suo impegno, che è insieme critico e poetico, muove in questa direzione: il suo Garbage Patch State è quello spazio. Wasteland si inserisce in una delle tendenze più feconde dell’attuale panorama culturale: quella relativa alle pratiche artistiche e culturali che, tra arte e attivismo, tra fiction e realtà, sono orientate a cambiare il mondo. E implica una concentrazione, uno sforzo strenuo e tenace; in questo senso costituisce il paradigma degli sforzi che occorre fare se vogliamo questo cambiamento.

dettagli
Biglietto: consulta il sito dell'Università
approfondimenti
quando
dal 29/05/13 al 04/11/13
DoLuMaMeGiVeSa
Orario: (scegli la data)
dove
Ca' Foscari Esposizioni
Ca' Giustinian dei vescovi - Dorsoduro 3246 - 30123 Venezia
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