Le fotografie di Rachele Maistrello mettono insieme passato e presente. Avvicinando un visitatore contemporaneo alla tela di un
antico ritratto, l'artista, offre al pubblico l'occasione di mettere in discussione l'evidenza della realtà; la somiglianza tra i due ritratti
balza subito agli occhi dell'osservatore e sfida ogni distanza cronologica.
Tale somiglianza nella fotografia mette in contrapposizione realtà e pittura: l'immagine dipinta, infatti, potrebbe essere definita
come fittizia, poichè quella cosiddetta “reale” lo è in quanto contrapposta allo sfondo dipinto. Realtà e pittura sono qui rappresentate
insieme e si definiscono l'un l'altra. La doppia rappresentazione, pittorica e fotografica, sottolinea, non solo le somiglianze, ma
anche le incongruenze tra le due figure. La foto rivela infatti piccoli dettagli, segni riconoscibili di contingenza, come la cerniera
della giacchetta o alcuni tratti marcati del viso, ma al confronto con l'immagine dipinta questi dettagli si leggono, ironicamente,
come imperfezioni che ne convalidano la realtà.
Tuttavia, il confine tra realtà e finzione che si crea dalla reciproca opposizione si dissolve nel momento stesso in cui lo spettatore
non guarda semplicemente la realtà, ma vi include se stesso come terza persona. Poiché, la persona “reale”, fotografata
nell'immagine, non è altro che un ulteriore ritratto e l'unica vera persona rimasta è colui che osserva la fotografia. Questo
duplice farsi spettatore ha luogo nel momento in cui lo sguardo del visitatore del museo nella fotografia incrocia lo sguardo
del visitatore che si volge a guardare.
In quel momento si stabilisce un contatto speciale che concede allo spettatore un viaggio nel tempo. I due visitatori sono contemporanei,
ma la somiglianza con la figura dipinta permette di procedere in linea retta fino a quest'ultima spezzando i confini di
tempo tra le tre identità, tutte unite in uno stesso momento.