Nei primi libri della Bibbia (come in quelli di altre religioni) sono elencati divieti e norme alimentari che hanno condizionato per secoli i credenti: primo fra tutti il tabù del sangue, ritenuto simbolo e sede della vita.
Il cristianesimo si è liberato di questi arcaismi, ma non di taluni rituali legati al cibo, come dimostrano la centralità dell’eucarestia e le norme sulle astinenze alimentari. La golosità è stata giudicata un vizio capitale e il digiuno all’opposto un viatico verso la santità. Più in generale si è raccomandata la moderazione o l’indifferenza verso il cibo e i grandi mistici sono spesso giunti a rifiutarlo.
Nel mondo profano vigono invece una quasi assoluta libertà e varietà di usanze. Il gusto è assurto ad arte, il pasto a momento centrale della convivialità.
Se il giardino dell’Eden era la raffigurazione immaginaria del passato di un popolo di cacciatori-raccoglitori beneficiati da un dio magnanimo cui si deve un culto di ringraziamento, l’opera di Mendel è emblematica di come all’ammirazione per ciò che è naturale si sia andato sostituendo il desiderio di migliorare l’ambiente a beneficio dell’uomo.
Intervento di Francesco D’Alpa