Il tempo in cui viviamo mostra un'evidente contraddizione. Da una parte, i governi dei paesi del nord del mondo (ma non solo) tendono a promuovere politiche di controllo e contrasto attivo dell'immigrazione, rendendo sempre più difficile ai cittadini di paesi terzi (soprattutto se provenienti da paesi poveri, in guerra o esposti a calamità e disastri) l'ingresso e il soggiorno regolare nei paesi più industrializzati e ricchi e allo stesso tempo rendendo precaria e 'insicura' la loro permanenza una volta già presenti. Questa tendenza si sta mostrando ancora più evidente in tempi di crisi economica e finanziaria, quando sono proprio i più vulnerabili (e tra questi molti immigrati anche di lungo corso) a pagare il prezzo più alto non solo in termini di difficoltà lavorativa, abitativa e più in generale socio-economica, ma anche di perdita di quei diritti legati alla legalità del loro soggiorno (in un circolo vizioso che lega l'emanazione e il rinnovo dei permessi al possesso di un contratto di lavoro).
D'altra parte quelle stesse politiche di crescita insostenibile, di depredazione delle risorse e di impoverimento di intere aree del mondo - sia dal punto di vista economico che materiale ed ecologico - che hanno portato alla crisi mondiale, hanno parallelamente fatto aumentare il numero di migranti a livello globale. È in questo contesto che si è affermato fra l'altro il fenomeno dei cosiddetti 'rifugiati ambientali' e degli 'esodi prodotti dallo sviluppo'.
(di Chiara Marchetti)
Ne discutono: Chiara Marchetti ricercatrice universitaria,
Valerio Calzolaio autore di 'Ecoprofughi', Monica Di Sisto Associazione Fair Watch-giornalista, Domenico Maffeo Cirocolo Sunugal-gruppo di lavoro H2OS, Anna Brusarosco Associazione Idemo, Alessandra Sciurba ricercatrice universitaria.