Nell’estate del 1927, i contadini della Marsica vivono di stenti coltivando per i padroni la terra pingue del Fucino e per sé le pietraie del monte. Ma tra questi ultimi c’è un giovane, discendente di una famiglia di briganti, che, a poco a poco, apre gli occhi e decide di ribellarsi.
Girato col massimo scrupolo di autenticità fra i
monti arsi d’Abruzzo, il film rende omaggio all’omonimo
romanzo di Ignazio Silone (1930) ricostruendo l’ambiente e disegnando i personaggi con gusto popolare. L’articolazione drammatica riecheggia il cinema sociale degli anni Cinquanta, lo stile è inteso all’emozione immediata, e
l’occhio di Lizzani trascorre dai paesaggi ai volti,
dai rustici interni all’azione scenica senza andare
talvolta oltre i gesti, ma, per certi aspetti, si riflette
anche la difficoltà con cui Silone stesso si esprimeva e per cui si lamentava di disporre d’uno strumento, la lingua italiana, inadeguato a una realtà tutta dialettale.