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Sintomi ritorni - Fotografie di Claude Andreini

Perchè?

Non sono credente. Non sono ebreo. Semplicemente sono sensibile all’olocausto. Nel 1998, ho voluto mostrare ai miei figli (9 e10 anni) quello che, cinquant’anni orsono, uomini vicini a noi avevano architettato per eliminarne altri: sono andato a visitare il campo di concentramento di Dachau, nei pressi di Monaco di Baviera. Ho scoperto che senza una preparazione specifica, una persona poteva non rendersi conto di quanto fosse accaduto. Il dramma era stato sterilizzato, ridimensionato, affidato a strutture che avevano perso il proprio carico di sofferenza. Una «baracca” di Dachau poteva essere quella di uno sfollato dopo terremoto: niente la distingueva . Ho deciso di visitare altri campi, Mauthausen, Terezin, finalmente Auschwitz, per capire se c’era un subdolo progetto. Fortunatamente non ho provato la stessa sensazione di “rivisitazione“ percepita di certo a Dachau, forse a Mauthausen. La sensazione palpabile a Terezin e Auschwitz è stata diversa: si sentiva la presenza di chi c’era stato. Sono rimasto giorni, notti intere a vagare laddove c’era stato il massacro. Forse sono stato “accettato” perché nel buio della notte, presto la mattina, al momento del tramonto, quando ero solo mi sembrava spesso di percepire sagome sfuggenti, esistenze evanescenti, sussistenze di antiche figure. Sono emozioni che, attraverso immagini, ho tentato di rappresentare ben più che documentare, una ennesima volta, un campo di sterminio. […] (Claude Andreini)

Ancora delle fotografie sui campi di concentramento?

L’annientamento di un deportato in un campo di sterminio non durava che qualche minuto d’inalazione di Zyklon B: il tempo di agonizzare nudi ammassati l’uno sull’altro assumendo un colorito blu-verde intenso. Era l’occultamento dell’annientamento a essere una macchina lunga e complicata. Tutto un campo per nascondere un concentramento, quel concentramento nelle camere a gas. Non si sono ancora trovate immagini […] Sono le immagini più ricercate e attese, più assenti nella storia dell’umanità. Fanno parte di un immaginario collettivo dell’“inimmaginabile”. Ciò che colpisce nella visione contemporanea dei fotografi recatisi nei luoghi dello sterminio nazista […] è qualcosa che va al di là della rappresentazione fisica delle architetture, dei manufatti, dei residuati rimasti come prove testimoniali […] Quello a cui lavora (Andreini) è spingerci a trasformarci da spettatori immobili a testimoni potenziali, a renderci quasi co-autori di immagini che senza la nostra partecipazione sensibile rivelerebbero tutto il loro fallimento. […] La preoccupazione di Andreini nell’evocare quelle che lui definisce presenze umane “ectoplasmiche” sembra […] incoraggiare l’avvento di un testimone “presente” al suo passato, e il biglietto di viaggio nel tempo glielo devono fornire quelle facoltà immaginative che un buon lavoro artistico deve essere in grado di sollecitare. […] L’urgenza espressiva in Claude è sconfinata. La comunicazione sociale, […] è in lui una necessità primordiale prima ancora che culturale. […] Costretto a fare i conti con un numero ridotto di elementi strutturali, era ovviamente nella loro impaginazione ma soprattutto nella capacità di espandere al massimo le loro connotazioni simboliche che Andreini giocava la sua partita. Le quinte di quello che era stato il teatro dell’orrore erano lì già predisposte. Un’evidente fotogenia […] nelle prospettive di fuga dei lampioni, piuttosto che dei reticolati, dava il suo specifico contributo alla composizione. […] L’immagine del vagone fermo sul binario “morto” mette i brividi: è fine dell’internamento viaggiante, è stroncatura del viaggio della speranza. Morte sigillata, asfissia pura. Sa evocare qualcosa che assomiglia una Scena Madre. E’ ancora oggi imbottito di urla che stanno per esplodere. Prendo questa fotografia ad esempio perché è magistrale il modo con cui è stata realizzata la ripresa (tutti gli elementi della composizione concorrono alla sua efficacia, la scelta del punto di vista, la giusta distanza, il contesto, l’“aria” in una parola, il tutto tenuto assieme dai toni adeguati di stampa). […] “Sensazioni”, non documenti, questo era lo scopo prefissosi da Claude, perché […] bisognava stimolare una partecipazione sensibile nello spettatore […]invitato non semplicemente a guardare ma a trasformarsi in una sorta di testimone trasversale nel tempo. […] L’ora del giorno è irriconoscibile: ieri, oggi, domani sono inchiodati una volta per tutte al “tempo” dell’orrore, che non può, non deve scivolare nell’oblio. Così l’infamia è immobilizzata in quel punto marcio del mondo, di modo che il suo asse non possa e non debba essere più spostato, rimosso, revisionato. Affinché lì non possa più vacillare la coscienza dell’umanità. Se vogliamo non vergognarci di essere degli umani. Sempre se vogliamo. Così ci parla la coscienza di Andreini, al di là di quello che siamo in grado di cogliere nelle sue immagini. Un Auschwitz-Birkenau è stato, un altro Auschwitz-Birkenau può sempre ritornare.

Testo tratto dalla Premessa di Roberto Salbitani a DAL LAVORO SU AUSCHWITZ-BIRKENAU DI CLAUDE ANDREINI - Ancora delle fotografie sui campi di concentramento?

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Ticket: ingresso libero
when
from Jan 10, 15 to Feb 10, 15
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Time: (pick a date)
Days closed: lunedì e martedì
where
Centro Culturale Candiani
Piazzale Candiani 7 - Mestre (VE)
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