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Mangi-arti con gli occhi

Incontro sul tema: Mangi-arti con gli occhi. Estetica del valore aggiunto del cibo dall’assaggio al messaggio

Intervento di Paolo Pistellato

L'umanità parte col piede sbagliato dal cibo sbagliato (quel maledetto frutto della conoscenza). E' chiaro da subito che nutrirsi non è un atto neutro, ma carico di senso e responsabilità. Dio pretende per sé da Abele e Caino le offerte alimentari migliori (per carnivori e vegetariani: Onnisciente = onnivoro? Chissà? Meglio non sbagliare); ma Caino bara e il Male peggiora. La redenzione arriva da un Dio fatto cibo e da un albero nato dai semi sublinguali del defunto Adamo: un caso? Le religioni s'accaniscono sul cibo con divieti e restrizioni (spesso ancora validi), e i sistemi culturali – specie dal medioevo – vi proiettano gerarchie e antinomie (cibi per ricchi e per poveri, per laici e consacrati e così via). Gli antichi dipingono alimenti anche per i morti; ma se agli Etruschi basta consolarli con scene di banchetto, agli Egizi servono moltiplicatori magici per alimentare un oltretomba sempre più popolato, molto prima che Gesù moltiplichi sul serio pani e pesci per i vivi. L'arte cristiana santifica molti cibi, come i frutti dal succo sanguigno prefiguranti la futura passione del Bambino. Oltrepassati un rinascimento ancor cristiano, carico di festoni di frutta d'antica memoria, e gli appetitosi rebus manieristici di Arcimboldo, una maggiore laicizzazione sembra arrivare nel secolo del barocco, con sovrabbondanza di cibi sulle tavole dei re e nelle infinite nature morte (talvolta allegorie del senso del gusto o condanna del vizio di gola), i cui dettagli si fanno inconfondibili cifre stilistiche dei maestri; spesso intaccate dal baco del memento mori, esse ci ricordano che un giorno saremo cibo per altri. Mentre la cattolicissima Spagna continua a cristianizzare le verdure dei suoi bodegones, dai tagli di carne delle macellerie e dei mercati protestanti, anticipati dal cattolico Carracci ma ormai altrove sostitutivi dei corpi dei santi scomparsi dagli altari, si stacca con Rembrandt l'immagine del bue squartato, simbolo espiatorio che arriva ben dentro al '900 con Soutine, Guttuso e soprattutto con le carni martoriate di Bacon, stupito a suo dire di non aver mai penzolato dal gancio d'un macellaio. L'arte mostra “cosa” si mangia ma anche “come” e ogni realismo ci offre rustici pasti dialettali ignari del galateo: dai mangiatori di fagioli carracceschi a quelli di patate di Van Gogh, incontrando per via una folla secentesca di picari, scugnizzi e pitocchi, seguita dai contadini di Tiepolo figlio e dai popolani di Courbet e Millet. L'800 rinnova di rado le tradizioni iconografiche, ma giunti alle avanguardie, i cubisti ad esempio, partendo dalle mele di Cézanne dipingono nature morte meno digeribili, nuove geometrie volumetriche di un cibo per la mente prima che per gli occhi, che apre la via tanto agli esiti matematici dei logaritmi divini nascosti nei broccoli romani di Dalì e della poverista serie numerica di Fibonacci (neon con cui Merz svela la segreta crescita dei vegetali), quanto (coi paradossi logici di Magritte), ai futuri concettualismi delle cibarie di Manzoni (uova e pagnotte), Broodthaers (cozze), De Dominicis (vera mozzarella in vera carrozza) Gonzales Torres (caramelle mangiabili dal pubblico). Anche De Chirico nasconde l'incognita metafisica nei pani ferraresi e in altro ancora. Il surrealista Dalì poi – teorico di un'arte “commestibile” - incarna in autoritratti-braciola, pani-pene, fagioli e uova al tegame, allucinatori disagi psichici. Nell'era industriale massificata la parabola del cibo parte dalla réclame pre-globalizzante delle icone pop americane (zuppe in scatola di Warhol e hamburger sintetici di Oldenburg) e termina coi malinconici avanzi post-prandiali europei del Nouveau Rèalisme (Spoerri, ancora imitato). Un campo tanto vasto chiede drastiche rinunce: a molte civiltà d'Oriente, alle bevande (soprattutto il vino) e alle specie eucaristiche di innumerevoli ultime cene. Infine un doveroso accenno alla mimesis , da sempre croce e delizia dell'arte occidentale figlia dei Greci. Plinio narra che Zeusi ingannava veri uccelli con frutta finta. Quella meno appetibile delle picassiane Demoiselles non eliminò il problema, visti i tanti iper-realisti che ancor oggi non demordono (troppi i nomi da fare). Certo è che finché vivremo di cibo, lo rappresenteremo.

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Ticket: ingresso libero fino ad esaurimento posti
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Centro Culturale Candiani
Piazzale Candiani 7 - Mestre (VE)
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