L’Ensemble Marâghî nasce nel 2008 all’altro capo della “Via della Seta”, Venezia, probabilmente grazie alle risonanze sonore che ancora vagano tra le pietre della città. Attualmente l’Ensemble segue due linee principali: una strumentale (sâzende) e una vocale (hânende). La prima propone un itinerario nella musica strumentale ottomana antica (secoli XV-XVIII) sviluppatasi tra la corte e i centri sufi di Costantinopoli. La seconda, invece, si avvale della collaborazione con la cantante persiana Sepideh Raissadat e si dedica alle composizioni vocali di ‘Abd ul-Qâdir Marâghî (m. 1435).
Per il suo nome il gruppo si ispira al grande musicista, compositore e musicologo ‘Abd ul-Qâdir Marâghî, nato nella seconda metà del 1300 a Marâghe, nell’attuale Azerbaijân iraniano, e scomparso ad Herât, città dell’attuale Afghanistân, nel 1435. Per l’Ensemble richiamarsi con il proprio nome a Marâghî significa andare alle fonti stesse della musica ottomana. E sono fonti interculturali, che vanno al di là degli odierni nazionalismi. La stessa tradizione musicale ottomana sembra l’esempio perfetto della multiculturalità dell’area e dei tempi: essa è la sintesi dell’eredità selgiuchide e bizantina che, dal XV secolo in poi viene fortemente influenzata dalle tradizioni persiano/arabe, timuridi, indiane, e in seguito balcaniche ed europee. Il mosaico composito delle genti che convivevano pacificamente sui territori dell’impero si rifletteva nei musicisti che operavano a corte, che potevano provenire dalle diverse comunità che lo formavano (greci, armeni, slavi, moldavi, arabi…) e confessare religioni diverse, sopratutte la cristiana o l’ebraica. È senz’altro il caso del principe Dimitrie Cantemir (1673-1723), figlio di Costantin Cantemir, principe e governatore (voivoda) di Moldavia tra il 1685 e il 1693.