Il tempo di guardare. Il tempo di vedere (Appunti per un documentario sulla Bosnia-Erzegovina) (2012-107’), diretto da Andrea Laquidara, racconta un viaggio di alcune settimane compiuto nell’aprile 2010 in Bosnia-Erzegovina, nelle città di Sarajevo e Srebrenica.
È un film sullo sguardo, uno tra i tanti possibili percorsi di avvicinamento ad un luogo sconosciuto. È un film sulla guerra, sulla battaglia che l’occhio, nel rivolgersi all’Altro, deve costantemente intrattenere con i propri preconcetti, i luoghi comuni, i clichés estetici, le abitudini, i canoni narrativi.
Un film sul cinema, sulla complessità di questo strumento che si apre e accoglie l’inatteso e l’imprevisto, e contemporaneamente cerca di catturarlo, deformarlo,
riordinarlo, ricomporlo in forme più riconoscibili e rassicuranti. Un film sull’identità e sull’alterità. Sulla straordinaria varietà di volti e fisionomie che si possono raccogliere in pochi minuti in una via di Sarajevo, e sulla mutazione perenne del paesaggio che scorre al di là del finestrino. Inafferrabile.
Che cos’è un documentario? Cosa significa “documentare”? È davvero pericoloso e irriverente assegnare ad un film il valore del documento, di ciò che certifica o testimonia qualcosa in modo oggettivo, senza la deformazione operata dalla presenza di qualcuno che punta la macchina da presa e che ricompone in modo personale il girato.
Il cinema non può essere un’affermazione certa e definitiva. Ogni film è una domanda, un punto interrogativo, un lavoro di ricerca.
Il tempo di guardare. Il tempo di vedere è la ricerca del limite del punto di vista.
Incontro con il regista e Silvia Badon.