Gli innamorati, capolavoro assoluto di Goldoni, nasconde dietro un’apparente e divertentissima trama di corteggiamento, la riproduzione schietta e cinica di un’intera società. Ed è, prima di tutto una società in crisi, decadente, morente, nella quale ci si difende in tutti i modi dalla fine: si finge di avere ciò che non si ha, di essere ciò che non si è (più); una società immatura, regressiva, capricciosa, in cui certezze, modelli, autorità hanno perso qualsiasi credibilità. L’amore è un campo di battaglia, la cartina tornasole che fa emergere tutta la fragilità dell’essere (di quello dei personaggi così come del nostro): la difficoltà di crescere e confrontarsi, di fi-darsi, di con-dividere la vita. In scena c’è un mondo virtuale, pignorato, ridotto all’osso, un conto alla rovescia in attesa di un futuro che (allora come oggi) non sembra avere molta consistenza. Un esperimento in vitro al vetriolo, satirico e psicoanalitico in un cui protagonisti sono gli attori che, necessariamente, si mettono e ci mettono a nudo.