Spiazzi è un’oasi di ricerca artistica personale e collettiva in una città d’arte del “vedere” che non offre molti spazi all’arte del “fare”.
La sola sopravvivenza a Venezia è di per sé un atto artistico, una performance di vita. Il fatto di ricercare un sistema di vita che va oltre il comune, dove alcune persone condividono laboratori per realizzare cose ed idee va chiaramente oltre la sopravvivenza; per queste persone il fare significa vivere, ed il fare e sperimentare “insieme” è l’elemento fondamentale. La tensione fra l’egoismo del mio-spazio, mio-oggetto, mia-opera è sempre in agguato in questo luogo aperto dove i laboratori non si chiudono a chiave e dove i materiali utilizzati sono spesso arrivati per vie traverse e non hanno nessun proprietario.
Il recupero di materiale è una delle basi del progetto Spiazzi (per necessità e per scelta); infatti, la presenza di grosse iniziative (Biennale, grandi produzioni cinematografiche), lasciano non solo uno spunto per le opere future ma una quantità di materiali che sono una vera manna per gli artisti locali.
L’ambivalenza di Spiazzi, con laboratori da un lato e sala per esporre dall’altro, descrivono questa tensione fra luogo personale, intimo, sacro e spazio pubblico, visibile, sfacciato. Questa è la chiave di lettura di qualcosa che rispecchia profondamente il mondo attuale in continuo bilico fra vita privata che non può però prescindere dal mondo circostante.