Babilonia – Il terzo paradiso è il titolo della nuova coreografia di Ismael Ivo – dal 2005 alla guida del Settore Danza della Biennale di Venezia – che l’11 maggio inaugura il Festival veneziano al Teatro Malibran. A interpretare l’inedita ideazione del coreografo brasiliano, la compagnia internazionale di venticinque danzatori che costituisce l’Arsenale della Danza (cfr. VMeD n. 39, p. 83), giovani tra i diciannove e i ventiquattro anni provenienti da tutto il mondo (USA, Canada, Russia, Grecia, Svezia, Brasile, Italia). Babilonia riecheggia fin dal titolo l’idea biblica della mescolanza di lingue, culture, arti che caratterizza il mondo contemporaneo e che ne costituisce la vera ricchezza, racchiudendo in sé la speranza per un futuro migliore.
«Il terzo paradiso è una coreografia che riflette, attraverso la danza, sulla realtà multiculturale di oggi e che va ad aggiungere un nuovo tassello ai precedenti lavori realizzati per l’Arsenale», spiega Ismael.
Si tratta dunque del capitolo finale di una trilogia iniziata nel 2009 con The Waste Land (cfr. VMeD n. 29, p. 12).
«The Waste Land esprimeva la desolazione della terra minacciata dalla devastazione dell’uomo – spiega Ivo – ; Oxygen (cfr. VMeD n. 34, pp. 76-77), l’anno successivo, narrava della capacità di sopravvivenza dell’uomo attraverso l’attività più naturale e necessaria: il respiro. Con Babilonia ho scelto di affrontare un problema che mi sta molto a cuore: oggi, nel 2011, con l’avanzare continuo delle nuove tecnologie, siamo ancora capaci di comunicare in maniera profonda? Come nuovi dinosauri, siamo prigionieri della confusione e ci troviamo a lottare costantemente per ritrovare la capacità di dialogare. Questo nostro mondo è un insieme indistinto di voci che gridano al cambiamento e che spesso non riescono a entrare in contatto fra loro. Ed è proprio questa confusione di parole che ho voluto tradurre in uno spettacolo inteso come con-fusione di corpi. Babilonia – Il terzo paradiso mette in scena un luogo astratto dove si svolge un corpo a corpo che non esprime solo un gusto estetico ma anche una forma di confronto. Come documento della nostra situazione sociale, politica, economica, come documento della nostra vita, la danza implica uno scontro di corpi che deve aiutare a ritrovare la forma della comunicazione più intima. Bisogna tornare ad avvicinarci l’un l’altro: solo così sarà possibile dare vita a un altro modo di dialogare, solo così sarà possibile reperire un’altra idea di umanità e di società».
Articolo da VeneziaMusica e dintorni.
www.euterpevenezia.it