Esordi folgoranti, opere prime destinate a diventare
epocali. In febbraio, alla Casa del Cinema,
Ce n’est qu’un début… ripropone otto incipit celebri,
collocati fra la fine degli anni Venti e i primi
Sessanta del secolo scorso. E dunque corrispondenti
al periodo storico che va dalle ultime
mature avanguardie, fra muto e sonoro, all’irrompere
della modernità, passando naturalmente
per l’apogeo del cinema classico americano.
Ad aprire la rassegna, con un micidiale esordio in
due tempi ravvicinati, Luis Buñuel, che appena
ventinovenne porta il dovuto scompiglio con la
brutalità antinarrativa e fortemente simbolica
del suo Chien andalou (1929), capolavoro di surrealismo,
bissato l’anno dopo da L’âge d’or. E di
anni ne ha ventinove, nel 1934, anche Jean Vigo
quando, poco prima di morire, manda incompiuto
sugli schermi L’Atalante, massacrato dalle
censure e solo di recente “ricomposto”, testimonianza
estrema di una poetica libertaria tuttora
di integra bellezza. Hollywood, si diceva, che in
quegli stessi anni Trenta vanta i fasti dello studiosystem,
colpito al cuore nel 1941, il mondo già in
guerra, dal beffardo Orson Welles di Citizen Kane
(Quarto potere), che di anni – all’epoca – ne
aveva ancora meno, ventisei, pur con la reputazione
della celebre provocazione radiofonica già
all’attivo. Con un’opera formalmente innovativa
e fortemente critica nei riguardi del sistema di
potere americano, rivendica e ottiene il diritto al
last cut, ovvero il film sugli schermi come vuole
lui, prerogativa sino a quel momento della sola
produzione, candidandosi per ciò stesso ad una
carriera irta di ostacoli, bella e maledetta. Qui da
noi Luchino Visconti, più attempato ma non
troppo (trentasette all’anagrafe), restituisce nel
1943 il cinema alla realtà con Ossessione, atto di
nascita del Neorealismo secondo la vulgata e comunque
snodo di fondamentale importanza fra
il prima e il dopo della storia nazionale. Lancette
in avanti: fra il 1959 e il 1960 l’arrivo del ciclone
Nouvelle Vague s’incarna in due registi poco
meno che trentenni: il François Truffaut de
Les 400 coups (I 400 colpi) e il Jean-Luc Godard
di À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro), titoli
e autori ormai quasi eponimi del nuovo cinema
che infiammerà ovunque, nel mondo, gli schermi
degli anni Sessanta. Per una volta, anche da
noi il passo è breve: nel 1961 Pier Paolo Pasolini
fa il suo esordio con Accattone, trasferendo sullo
schermo quell’attenzione per i temi della marginalità
che costituirà motivo costante del suo lavoro,
mentre nel 1965 Marco Bellocchio, ventiseienne,
s’impone all’attenzione internazionale
con I pugni in tasca, quasi un manifesto del ribellismo
ormai nell’aria. Esordi che agiscono e presagiscono,
frutto di tempi a vario titolo propizi
(quand’anche drammatici) e di personalità autoriali
precocemente esuberanti (ventenni e tutt’al
più trentenni, come s’è volutamente sottolineato).
Non era che l’inizio… Ecco, il cinema dovrebbe
trovare il coraggio e la passione per ricominciare
da lì. (Testo di Roberto Ellero)